Ugo Foscolo, nato Niccolò Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, 10 settembre 1827), è stato un poeta, scrittore e traduttore italiano, uno dei principali letterati del neoclassicismo e del preromanticismo. Egli fu uno dei più notevoli esponenti letterari italiani del periodo a cavallo fra Settecento e Ottocento, nel quale si manifestano o cominciano ad apparire in Italia le correnti neoclassiche e romantiche, durante l'età napoleonica e la prima Restaurazione. Costretto fin da giovane ad allontanarsi dalla sua patria (l'isola greca di Zacinto/Zákynthos, oggi nota in italiano come Zante), allora territorio della Repubblica di Venezia, si sentì esule per tutta la vita, strappato da un mondo di ideali classici in cui era nato e cresciuto, tramite la sua formazione letteraria e il legame con la terra dei suoi antenati (nonostante un fortissimo legame con l'Italia che considerò la sua madrepatria). La sua vita fu caratterizzata da viaggi e fughe, a causa di motivi politici (militò nelle forze armate degli Stati napoleonici, ma in maniera molto critica, e fu un oppositore degli austriaci, a causa del suo carattere fiero, dei suoi sentimenti italiani e delle sue convinzioni repubblicane), ed egli, privo di fede religiosa ed incapace di trovare felicità nell'amore di una donna, avvertì sempre dentro di sé un infuriare di passioni. Come molti intellettuali della sua epoca, si sentì però attratto dalle splendide immagini dell'Ellade, simbolo di armonia e di virtù, in cui il suo razionalismo e il suo titanismo di stampo romantico si stemperano in immagini serene di compostezza neoclassica, secondo l'insegnamento del Winckelmann. Tornato per breve tempo a vivere stabilmente in Italia e nel Lombardo-Veneto (allora ancora parte del Regno d'Italia filofrancese) nel 1813, partì presto in un nuovo volontario esilio e morì povero qualche anno dopo a Londra, nel sobborgo di Turnham Green. Dopo l'Unità, nel 1871, le sue ceneri furono riportate per decreto del governo italiano in patria e inumate nella Basilica di Santa Croce a Firenze, il Tempio dell'Itale Glorie da lui cantato nei Sepolcri (1807). Due sono gli aspetti principali della sua personalità: il primo è l’immediato abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni, che agitarono ininterrottamente la sua vita; il secondo, in contrasto col primo, è l’esigenza di un ordine, di una disciplina, di un’armonia interiore. Nell’abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni, si avverte il segno della nuova sensibilità del Romanticismo; nell’esigenza dell’equilibrio e dell’armonia interiore si avverte l’influenza del classicismo. Foscolo nella sua concezione del mondo e della vita segue le dottrine materialistiche e meccanicistiche dell’Illuminismo, secondo le quali il mondo è fatto di materia sottoposta ad un processo incostante di trasformazione governato da leggi meccaniche. Anche l’uomo è soggetto alla stessa legge di dissolvimento della materia, perciò compiuto il suo ciclo biologico, si annulla completamente come individuo. Per i filosofi dell’Illuminismo questa concezione materialistica della realtà e dell’uomo era motivo di ottimismo perché liberava l’animo dalle superstizioni, dalla paura della morte, inducendoli a vivere più serenamente, invece per il Foscolo queste teorie erano motivo di pessimismo e disperazione. La visione materialistica, lo porta a considerare l’uomo come prigioniero della natura , che, compiuto il suo ciclo vitale, piomba nel "nulla" eterno. Così il Foscolo considera la ragione un dono malefico della natura, causa di disperazione tale da trovare nel suicidio l’unica liberazione possibile. Tuttavia il Foscolo non soccombe al pessimismo e alla disperazione, ma reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali, che danno un fine ed un significato alla vita dell’uomo. Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la patria, la virtù, l’eroismo, la poesia, l’arte, la gloria, tutti sentimenti che i filosofi materialistici e scettici chiamavano "illusioni", cioè idee vane. Tra le "illusioni" la più grande per il Foscolo è la gloria poiché egli ha perduto la fede cristiana nell’immortalità dell’anima, allora vede nella gloria l’unico mezzo di sopravvivenza ideale dopo la morte. Per il Foscolo le illusioni ,però, non furono mai una realtà assoluta ma spesso erano accompagnate dalla consapevolezza dei limiti della natura umana e dalla minaccia sempre incombente della morte e del nulla eterno. Le opere più importanti del Foscolo sono: "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" , "Le Odi", "I sonetti", "I Sepolcri" e "Le Grazie" (opera incompiuta). Prima esperienza cospicua dell’operosità del Foscolo è costituita da "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", un romanzo epistolare a carattere autobiografico. Attraverso le lettere dirette da Jacopo all’amico Lorenzo Alderoni; il Foscolo narra le vicende dolorose dello spirito del suo personaggio, che è travagliato dalla sorte della sua patria, Venezia, vilmente ceduta all’Austria e da un suo infelice amore per una fanciulla, Teresa, già promessa sposa di un altro giovane. Jacopo ortis così per sfuggire all’amore e alle persecuzioni viaggia per molte regioni d’Italia; infine tornerà a trovare Teresa e deciderà di uccidersi . Il tono dell’Ortis è caldo, appassionato, ma quasi scontato infatti il personaggio non arriva al suo gesto attraverso un processo spirituale, ma ha già deciso il suicidio sin dalle prime pagine. Il valore dell’Ortis è principalmente autobiografico ed è facile riconoscere in Jacopo Ortis il Foscolo della giovinezza. Esso è uno dei libri più significativi della nuova letteratura ed ha un grande valore spirituale; rispecchia la concezione pessimistica del Foscolo nei confronti della vita. Troviamo quindi in quest’opera il tono più alto del pessimismo foscoliano, il suicidio; considerato come una forma di liberazione e di protesta. Liberazione, nei confronti della vita; protesta nei confronti della natura che ha destinato l’uomo all’infelicità. Pur essendo contemporanei all’Ortis, I Sonetti , rappresentano il secondo momento dello svolgimento spirituale e artistico del Foscolo, quello del superamento del pessimismo e della virile accettazione della realtà. Nei sonetti maggiori il Foscolo appare mutato, disposto ad accettare virilmente la realtà e il dolore, essi sono quattro: "La Musa", "A Zacinto", "In Morte del fratello Giovanni" e "Alla sera". In queste opere si nota che per il Foscolo le meditazioni sulla natura sono suggerite dalla vista di un paesaggio come avviene nel sonetto "Alla Sera". In esso è il calar delle tenebre, sia di un sereno tramonto estivo sia di una cupa sera invernale, le cui ombre che scendono dal cielo nevoso sembrano allungarsi inquiete ed inghiottire tutto l’universo, a spingere i pensieri del poeta "sull’orme che vanno al nulla eterno". L’alternanza è costante, nei "Sonetti", all’immaginazione della tenebrosa sera invernale di "Alla Sera" si contrappongono le limpide nubi e le fronde di "A Zacinto" che evocano la serenità del paesaggio classico. Le odi del Foscolo sono due: "A Luigia Pallavicini caduta da cavallo" e "All’amica risanata" sono considerate il primo manifestarsi del risorgere del Foscolo alla vita, il superamento cioè del momento dell’Ortis cupo e disperato fino al suicidio, con la consolazione del dolore nel culto della bellezza e nell’accettazione virile dell’umana esistenza. L’ode "A Luigia Pallavicini svolge uno dei motivi più cari al Foscolo, quello della bellezza "serenatrice", sentita cioè, come balsamo e conforto dell’uomo; essa però è trattata superficialmente perché la bellezza è contemplata esteriormente come armonia di forma e piacere visivo, più che consolazione e lenimento del dolore, come invece avviene nella seconda ode "All’amica risanata". Rispetto alla prima, la seconda ode, alla bellezza "serenatrice" aggiunge un altro motivo quello della poesia "eternatrice". La bellezza come tutte le cose di questo mondo è anch’essa peritura, sottoposta alla legge universale della materia. Ma a salvarne lo splendore e il ricordo interviene la poesia, che le dona l’immortalità, poiché essa vince l’oscurità e la morte. Quindi da queste opere si evince la concezione foscoliana della poesia, che è eternatrice , l’unica in grado di opporsi all’immutabile destino umano. Il carme dei "Sepolcri" è un’opera didascalica e lirica; didascalica perché mira a inculcare il culto delle tombe, dimostrandone il valore ideale e l’utilità civile, ma è anche un opera lirica, perché esprime i sentimenti profondi del poeta, la sua concezione pessimistica, ma nello stesso tempo agonistica, eroica e costruttiva della vita. Il Foscolo afferma inizialmente che le tombe sono, dal punto di vista razionale, inutili, perché con la morte finisce tutto; ma contro le affermazioni della ragione insorge il sentimento, il quale afferma che le tombe sono necessarie, perché sono "tramite di corrispondenza di amorosi sensi tra l’estinto e i vivi", e segno della sopravvivenza ideale dell’estinto nel ricordo dei vivi, a condizione però che l’estinto abbia lasciato ai suoi un’eredità di affetti, ossia un buon ricordo di sé, altrimenti su di lui scende l’oblio totale. Egli considera il culto dei morti nato con la civiltà e segno di civiltà. I sepolcri svolgono il motivo centrale del Romanticismo che consiste nel sentimento drammatico della vita confortato nella fede nelle "illusioni". Il motivo unitario del carme è il sentimento della vita che trionfa sulla morte , accostato tuttavia al sentimento del dolore e del nulla eterno, infatti i "Sepolcri" sono pressoché la continua coesistenza dei due sentimenti di dolore e di morte, che si accompagnano come la luce accompagna l’ombra. Motivo centrale ,quindi, della poesia del Foscolo è questa continua lotta tra: vita e morte; dolore e nulla eterno; elementi sublimemente accostati alla descrizione della natura che rappresenta la proiezione del proprio stato d’animo; questo permette che necessariamente si venga a creare un rapporto tra l’individualità del poeta e la natura descritta. Così se nel sonetto "Alla Sera" il poeta si sofferma sulla descrizione di un paesaggio invernale che lo porta ad una attenta meditazione, nel sonetto "A Zacinto" Foscolo evoca un paesaggio prettamente classico, suggerito dalla descrizione del "greco mar". Allo stesso modo ne "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" si rievocano i paesaggi romantici e cupi che richiamano quelli descritti da Ossian e così anche ne "I Sepolcri" in cui alla "deserta gleba", simbolo di siccità e quindi di morte, si contrappongono visioni decisamente più serene suggerite dai cipressi, dai cedri, dalle fontane che rappresentano simboli evidenti di fecondità e quindi di vita.