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Libro

Italiano IV [PROGRAMMA]

1. L'UMANESIMO

uomo vitru2L'Umanesimo, che sotto molti aspetti può apparire un periodo di stagnazione, è in realtà solamente un "momento di pausa e di riflessione; un'età di appassionati studi critici e filologici; una specie di affannoso ed inconsapevole ritorno alle origini prime della nostra civiltà, attraverso il quale tutta la concezione della vita e degli ideali umani si rinnova, e al tempo stesso si opera una trasformazione della cultura e del gusto letterario, che si rivelerà appieno alla fine del secolo negli spiriti e nelle forme della nuova poesia". 

Il movimento dell'Umanesimo si diffuse con grande rapidità in tutta Italia e, pur assumendo caratteri diversi a seconda dei centri di diffusione, mantenne comuni caratteristiche dovute sia alla formazione e alle caratteristiche egualitarie ma soprattutto al comune uso della lingua latina. Il latino degli umanisti, come già quello di Petrarca, è il latino classico, quello che avevano riscoperto attraverso i testi antichi di Cicerone, di Quinto Ennio di Virgilio, di Orazio, di Catullo e di Ovidio e che, con un attento studio filologico, riportano alla luce. 

Il più importante centro umanistico sorse a Firenze e l'iniziatore dell'umanesimo fiorentino fu Coluccio Salutati, allievo di Petrarca e scopritore delle Epistulae ad familiares di Cicerone, che con i suoi trattati e il ricco epistolario fu considerevole diffusore dei nuovi studi letterari. Il movimento ebbe seguito a Firenze con altri autorevoli studiosi come Niccolò Niccoli, che trascrisse numerose opere greche e latine e compose una guida per ritrovare i manoscritti in Germania, Leonardo Bruni d'Arezzo, che oltre a tradurre dal greco numerose opere, fu l'autore di una Historia fiorentina scritta in chiave classicheggiante su imitazione di Livio e di Cicerone e infine Poggio Bracciolini che, durante i suoi numerosi viaggi in Francia e in Germania, scoprì antiche opere portando così a conoscere le Institutiones oratoriae di Quintiliano, le Silvae di Stazio, le Puniche di Silio Italico e il De rerum natura di Lucrezio. Nel 1429 venne ritrovato a Lodi, dal vescovo Gerardo Landriani, il Brutus di Cicerone e nel 1429 il cardinale Giordano Orsini acquista un codice che conservava le dodici commedie di Plauto che fino a quel momento nessuno conosceva.

Nel campo della storiografia umanistica, che ebbe come modello l'opera di Livio, si ricorda il romano Lorenzo Valla che seppe affrontare "problemi filosofici, storici, culturali, dovunque recando una spregiudicatezza critica che prelude alla grande direzione del pensiero del Rinascimento".
Accanto al Valla è degna di essere ricordata la figura dell'umanista forlivese Flavio Biondo che instaurò il metodo scientifico negli studi storici dando l'avvio con la sua opera Roma instaurata alla scienza dell'archeologia, quella dell'aretino Leonardo Bruni e dell'anconetano Ciriaco d'Ancona.

Gli umanisti, molti dei quali erano al servizio dei signori italiani come segretari o cancellieri, furono anche ferventi scrittori di lettere più che altro di argomento politico, ma anche privato. In questo secondo settore notevole è l'epistolario lasciato da Poggio Bracciolini che, in base al modello ciceroniano, scrisse lettere ricche di umanità e di sentimento.

Tra i poeti più noti a carattere burlesco si ricorda Domenico di Giovanni, soprannominato il Burchiello, che compose numerosi sonetti caudati dove riprendeva lo stile della poesia giocosa e delle frottole del Trecento. Tra i poeti giocosi che vissero presso le corti quattrocentesche si ricordano Antonio Cammelli, detto il Pistoia che ebbe molta fama presso le corti settentrionali e che visse presso le corti dei Da Correggio, degli Estensi e di Ludovico il Moro. Egli compose sonetti di carattere satirico dove viene rappresentata la società del suo tempo.A continuazione della tradizione trecentesca continuarono ad essere recitati i cantari, ad esserne composti dei nuovi e si diffuse la produzione di versi di argomento politico e di tipo comico-realistico.

Sempre presso le varie corti nacque anche una poesia più aristocratica che si rifaceva alla tradizione petrarchesca e alla lirica cortigiana della seconda metà del Trecento. Tra i poeti di questo periodo furono noti Giusto de' Conti di Valmontone, autore del canzoniere intitolato La bella mano , Benedetto Gareth, soprannominato il Chariteo autore di un canzoniere intitolato l' Endymione e Serafino de' Cimminelli conosciuto con lo pseudonimo di Serafino Aquilano che fu anche un musicista.

A metà del secolo la letteratura in volgare prese il sopravvento e prevalse il concetto che la lingua italiana fosse pari a quella latina per la capacità di esprimere qualsiasi concetto o immaginazione come dirà Leon Battista Alberti nel proemio al II libro dei suoi Quattro libri della famiglia:


«ben confesso quella antica lingua latina essere copiosa molto e ornatissima; ma non però veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto da averla in odio che in essa qualunque benché ottima cosa scritta ci dispiaccia...E sia quanto dicono quella antica appresso di tutte le genti piena d'autorità, solo perché in essa molti dotti scrissero, simile certo sarà la nostra, se i dotti la vorranno, molto con suo studio e vigile, essere elimata e polita"»


Fu proprio l'Alberti, tipico esempio di uomo dell'Umanesimo e del Rinascimento, che promosse in Firenze una gara pubblica di poesia, il Certame coronario, per dimostrare quali fossero le potenzialità della lingua parlata. A testimoniare come la lingua volgare e la letteratura assumessero una nuova dignità sono i commenti alla Divina Commedia di Cristoforo Landino, il commento alle rime del Petrarca da parte di Francesco Filelfo e l'epistola di Angelo Poliziano che accompagnava la antiche rime della Raccolta aragonese dove viene elogiata la lingua toscana.

Durante tutta la seconda metà del Quattrocento dunque la lingua volgare e la lingua latina si alternarono e spesso si affiancarono negli stessi scrittori, come si può osservare analizzando le loro opere del Poliziano, di Jacopo Sannazzaro, di Alberti e di molti altri. La nuova letteratura che nacque ebbe un carattere colto e aristocratico perché coloro che ritornarono al volgare lo fecero su una base letteraria, convinti, come scrive Landino, che "per essere un "buon toscano" occorreva essere "buon latino", cioè conoscitore del latino".


Leon Battista Alberti, una tra le figure più poliedriche del Rinascimento fu non solo umanista e scrittore in lingua volgare e latina ma si interessò anche di architettura, di musica, di matematica, di crittografia, di linguistica di filosofia e teoria delle arti figurative. Come scrittore egli realizzò una commedia latina dal titolo Philodoxeos fabula (L'amante della gloria), le Intercoenales (Dialoghi conviviali), tre libri in volgare intitolati Sulla pittura, dieci libri sull'architettura, il De re aedificatoria, i Dialoghi della tranquillità dell'anima, il Momus o De Principe i Quattro libri della famiglia.

Superiore all'Alberti per via di una personalità poliedrica fu Leonardo da Vinci, che però non ha un posto rilevante nell'attività letteraria ma in quella delle arti e delle scienze.


Leonardo ci ha lasciato una serie di passi dal titolo "Trattato sulla pittura" e alcuni abbozzi e frammenti di idee che egli aveva l'abitudine di fissare su carta alle volte dandogli un'apparenza di piccola favola o di apologo che hanno un certo carattere letterario. Anche Michelangiolo, celebre scultore, si dedicò alle composizione poetica, realizzando degli eleganti sonetti.


Lorenzo de' Medici fu il promotore a Firenze della nuova letteratura in volgare e anche amico e protettore di umanisti come il Ficino e Cristoforo Landino. Egli, legato alla tradizione del Trecento, volle che la letteratura di quel secolo fosse diffusa, ed egli stesso cercò di imitarla in molte sue opere, specialmente quelle della gioventù. 

Si cimentò anche nella poesia. Intorno a Lorenzo de' Medici, dove si era formato un circolo di poeti, letterati e artisti, visse Angelo Poliziano che, trasferitosi a soli 16 anni a Firenze e conoscendo già il greco e il latino, iniziò a tradurre in esametri latini l'Iliade. Fu apprezzato per le sue doti dal Magnifico che lo accolse alla sua corte dapprima come precettore del figlio Piero e in seguito gli affidò la cattedra presso lo Studio fiorentino di latino e greco, incarico che il poeta tenne fino alla sua morte avvenuta nel 1494. Egli compose in volgare alcune opere importanti sia dal punto di vista letterario che poetico, come le Stanze per la giostra e l'Orfeo. Al circolo di poeti medicei appartenne per un certo periodo anche Luigi Pulci che scrisse un poema in ottave intitolato il Morgante che riprende i motivi e la tecnica carolingia dei cantàri.


Matteo Maria Boiardo, nato nel castello di famiglia di Scandiano nel 1441 da Lucia di Nanni Strozzi e Giovanni Boiardo, fu sempre legato alla famiglia d'Este per il vassallaggio del feudo di Scandiano, che sarà egli stesso a reggere insieme con il cugino Giovanni tra il 1460 ed il 1474. Fu intellettuale e poeta di spicco nella seconda metà del Quattrocento. A lui si debbono un canzoniere amoroso, gli Amorum libri tres, dieci ecloghe comunemente chiamate Pastorale, ma soprattutto l'Orlando Innamorato, un poema epico narrativo incompiuto in ottave che sarà materia del Furioso di Ariosto, oltre, naturalmente, a componimenti poetici giovanili (spesso in latino) e a traduzioni dal greco.

Merito degli umanisti fu quello di aver ripulito la dottrina aristotelica da tutte quelle alterazioni fatte ad opera degli arabi e degli scolastici e soprattutto di aver scoperto nella sua totalità l'opera di Platone al quale andò la loro preferenza. Dedicato a Platone fu il movimento sorto a Firenze con a capo Marsilio Ficino che, sotto la protezione dei Medici, raccoglieva nella villa di Careggi, quella che in seguito venne chiamata Accademia neoplatonica, numerosi personaggi dotti. 

Si ricordano inoltre Giannozzo Manetti, Giovanni Pico della Mirandola e Cristoforo Landino che seppero concepire una diversa dignità dell'uomo facendo intravedere quella che sarà la filosofia moderna che avrà i suoi inizi nel Rinascimento italiano. Nella prima metà del secolo accanto alla letteratura umanistica in latino nacque anche una letteratura in volgare sia di carattere devozionale e di mediocre valore, sia di carattere artistico e di alto tono. 

Nella letteratura di carattere devozionale vennero composte laude, prediche e sacre rappresentazioni che spesso, accanto all'argomento sacro, "accoglievano anche personaggi e scene di un realismo rozzo e popolaresco, che avvicinavano ancor meglio lo spettacolo ai gusti del popolo che assisteva sulle piazze e che doveva ricavarne edificazione e diletto." Tra gli autori della letteratura devozionale vanno menzionati il fiorentino Feo Belcari, San Bernardino da Siena e anche Girolamo Savonarola che, pur essendo vissuto nella seconda metà del secolo, può essere posto tra costoro per i suoi trattati di carattere morale, le sue laude e soprattutto per le sue vibranti prediche.

Tra i prosatori minori si ricordano anche i memorialisti, come lo scultore Lorenzo Ghiberti, il mercante Giovanni Morelli e il pittore Cennino Cennini che scrisse il Libro dell'arte, uno tra i primi trattati tecnici sulla pittura. Non mancarono i novellieri che continuavano la tradizione trecentesca come Giovanni Gherardi autore di un romanzo dal titolo Il Paradiso degli Alberti, Giovanni Sabadino degli Arienti che scrisse una raccolta di novelle intitolate Porretane e il più valido Giovanni Sercambi, autore di un Novelliere ad imitazione del Decamerone.