Giorgio Caproni, nato a Livorno il 7 gennaio 1912 e morto a Roma il 22 gennaio 1990, è autore di una poesia caratterizzata da una apparente spontaneità e dall'abbandono alla musicalità della parola, che però riesce a esprimere appieno le lacerazioni del Novecento. La forma semplice e chiara dei suoi versi, lontana da qualsiasi forma di intellettualismo, riesce a ricreare sensazioni vivide grazie a immagini concrete. Concepisce però la poesia come artificio e, proprio per questo, la considera limitata e insufficiente. Durante la giovinezza si interessa alla musica e alla letteratura. La sua poesia si inserisce in una linea ligure, erede delle suggestioni di Sbarbaro e Montale. La prima raccolta, Come un'allegoria (1936), è dedicata a una ragazza che l'autore ha amato e perduto, tema che verrà ripreso nel successivo Ballo a Fontanigorda (1938). La semplicità dei versi si sovrappone alla durezza del contenuto, che propone immagini concrete come allegorie del dolore. Nella seconda raccolta, inoltre, si fa strada una nuova immagine femminile, simbolo di vitalità, e compare frequentemente il motivo del mare. Con Finzioni (1941) l'esperienza precedente viene ripensata, mentre è evidente l'influenza dell'ermetismo. Da un lato il rapporto tra parola e simbolo diventa più complesso, dall'altra Caproni sviluppa maggiore rigore per quanto riguarda la metrica dei componimenti. Inizia inoltre a utilizzare le forme del sonetto e dell'endecasillabo, che torneranno nelle raccolte successive. In Cronistoria (1943) il motivo dell'amata perduta si allaccia al tema della guerra, in una fusione tra vissuto personale e storia collettiva. Il passaggio di Enea del 1956, in cui confluirono le tre raccolte precedenti, segna la conclusione di questa prima fase della produzione di Caproni. Nel Seme del piangere (1959), che raccoglie i versi composti negli anni cinquanta, il poeta arriva a far coincidere poesia e vita. In essi canta la madre morta e utilizza la poesia come mezzo per rievocare la di lei giovinezza, mostrandone la semplicità e la fragilità, attraverso una delicatezza che richiama la poesia italiana delle origini. Il Congedo di un viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1965) sviluppa il tema del viaggio come immagine della solitudine e del crollo delle certezze acquisite. Il poeta sembra sfuggire al contatto con gli altri, proiettandosi nei personaggi protagonisti delle prosopopee, che con delicatezza danno voce al loro rifiuto di partecipare alla vita sociale. Dopo il Congedo, i componimenti di Caproni si fanno più brevi, riducendosi spesso a una sola strofa. Tra il 1975 e il 1986 compone tre volumi nei quali presenta una serie di lettere poetiche provenienti da un mondo segnato dalla «morte di Dio»: fine dei valori religiosi, ma anche di qualsiasi significato sicuro e della stessa oggettività del mondo. Nel Sessantotto e nel movimento di liberazione che ne deriva viene vista una frattura rispetto alla realtà precedente. Questo mutamento viene analizzato attraverso continui cambiamenti di punti di vista, da cui trae una singolare gioia, mentre diminuisce l'uso dell'ironia.
Il muro della terra (1975), il cui titolo riprende l'espressione dantesca usata per indicare il muro di Dite, descrive il limite della condizione umana. Il muro rappresenta appunto questo limite, che il poeta sa di non poter distruggere: l'io cerca quindi un Dio, che però esiste sono nella sua negazione. In questo modo il poeta finisce per confondere se stesso, la divinità e altre figure umane. Il franco cacciatore (1982) si presenta invece come una partitura musicale in cui torna sul tema della morte di Dio. L'«operetta a brani» Il conte di Kevenhüller riprende invece un curioso fatto di cronaca risalente al 1972, quando il governatore austriaco di Milano, che dà il nome all'opera, promise una ricompensa a chiunque fosse riuscito a catturare una misteriosa belva che affliggeva le campagne lombarde. La vicenda, avvenuta a ridosso della rivoluzione francese e quindi in un periodo in cui un'intera epoca stava per giungere alla fine, dà modo a Caproni di riflettere sulla ricerca della fantomatica e inafferrabile bestia, ma anche sui valori e le ossessioni della società.
Vittorio Sereni a Milano nato a Luino il 27 luglio 1913 e morto a Milano il 10 febbraio 1983, Vittorio Sereni «fornisce l'immagine più equilibrata e coerente di una borghesia intellettuale progressista», ponendosi in linea con il razionalismo laicista e democratico lombardo, di ascendenza illuministica.
Dopo gli studi a Brescia frequenta l'università a Milano, dove si laurea con una tesi su Gozzano. Nella città lombarda entra in contatto con i giovani intellettuali della rivista Corrente, tra i quali ha un ruolo di guida il filosofo Antonio Banfi. Nel 1941 compare Frontiera, la prima raccolta di versi, che verrà poi ampliata e ripubblicata con il titolo di Poesie (1942). L'atmosfera di inquietudine che caratterizza gli ambienti lacustri e prealpini descritti nei testi rimanda alla precarietà di un mondo minacciato. Lo stesso titolo rimanda a una situazione di "confine" e al senso di incertezza che genera. Chiamato alle armi, Sereni è inviato in Grecia e poi in Sicilia, ma dopo lo sbarco delle forze statunitensi viene catturato dagli Alleati e condotto prigioniero in Algeria e Marocco. Da questa esperienza nasceranno i componimenti raccolti in Diario d'Algeria (1947). Qui viene accentuata la componente diaristica già presente in Frontiera, ma la chiusura espressiva derivata dall'ermetismo lascia spazio a una comunicazione più distesa. Si fa largo inoltre l'idea che che si debba accettare integralmente il proprio destino e i propri limiti, senza possibilità di evasione. Viene poi sviluppata la contraddizione tra la staticità del campo di prigionia e gli eventi che si consumano sulla scena del mondo, dove infuria la guerra. Nel dopoguerra Sereni riprende l'attività di insegnante interrotta allo scoppio del conflitto, quindi lavora nel settore pubblicità della Pirelli e infine diventa dirigente dell'editore Mondadori. La notorietà come poeta arriva nel 1965 con Gli strumenti umani, in cui affronta i problemi sociali nell'Italia del dopoguerra, descrivendo una realtà disgregata: in questa raccolta è contenuta anche Una visita in fabbrica, una delle poesie più rappresentative della cosiddetta letteratura industriale. Anche le forme espressive cambiano, e al monolinguismo si affianca un uso più duro del linguaggio, che si altera e si spezza fino allo scopo di esprimere la frantumazione e la desolazione in cui versa la società. L'ultima raccolta, Stella variabile (1981), approfondisce il tema del rapporto tra mondo e poesia, e riflette sulla condizione di quest'ultima, che non può dare certezze o donare salvezza. Nella sua esperienza, Sereni ha tentato di trovare continuità con una tradizione umanistica che fosse in grado di confrontarsi con il mondo contemporaneo e la realtà industrializzata del dopoguerra. Nei suoi componimenti appaiono quindi elementi provenienti dalla vita quotidiana degli anni cinquanta e sessanta: vi si trovano alla cultura di massa, ai fatti di cronaca, allo sport e alla vita in città. In Stella variabile, Sereni sembra però giungere a soluzioni pessimiste, avvicinabili all'ultimo Montale.
Sereni è stato anche traduttore oltre che autore di opere narrativo-diaristiche, racconti e testi di critica letteraria. Attualmente la sua intera opera poetica è stata raccolta in un volume (1995) a cura di Dante Isella, mentre le prose sono riunite in Le tentazioni della prosa (1999), curato da Giovanni Raboni.
L'esperienza poetica di Alda Merini, nata a Milano il 21 marzo 1931 e morta il 1° novembre 2009, è strettamente legata alla sua biografia e alle sue sofferenze psicologiche, da cui riesce a far scaturire immagini illuminanti ed enigmatiche. In vita è stata apprezzata per l'intensità delle sue liriche, in bilico tra l'afflato religioso e la tensione erotica, e ha ricevuto elogi da importanti poeti come Quasimodo, Pasolini e Betocchi. In una prima fase della sua attività di poetessa ha pubblicato le raccolte La presenza di Orfeo (1953), Paura di Dio (1955), Nozze romane (1955) e Tu sei Pietro (1961). Segue un lungo silenzio durato vent'anni: in questo periodo Alda Merini sperimenta il ricovero in manicomio, una drammatica esperienza che la poetessa racconterà nel volume L'altra verità. Diario di una diversa (1986). La pubblicazione di liriche riprende negli anni ottanta, quando escono Destinati a morire. Poesie vecchie e nuove (1980), La Terra Santa (1983), Delirio amoroso (1989) e Vuoto d'amore (1991). L'afflato mistico diventa sempre più centrale nelle ultime opere, come L'anima innamorata (2000) e Poema della Croce (2005). Tra le altre raccolte, è di una certa importanza Clinica dell'abbandono (2003), in cui riunisce poesie degli anni novanta con nuovi componimenti, Nel cerchio di un pensiero (teatro per voce sola) (2005) e La carne degli angeli (2007).
MATERIALI
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http://www.treccani.it/enciclopedia/vittorio-sereni/
http://www.treccani.it/enciclopedia/alda-merini/