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Libro

Italiano V [PROGRAMMA]

25. ANTONIO GRAMSCI

 
agAntonio Gramsci, scrittore e uomo politico sardo, fu tra le menti più alte del marxismo italiano ed europeo fra le due guerre mondiali. Per Gramsci il problema del Meridione era insolubile all'interno del sistema politico che si era imposto in Italia fin dall'indomani dell'Unità e che si sarebbe perpetrato nel fascismo, braccio armato della reazione borghese nel primo dopoguerra. Tale sistema, che fondava la propria forza nell'alleanza fra il capitalismo industriale e la grande proprietà terriera, come aveva già messo in luce Gaetano Salvemini, impoveriva le classi lavoratrici della nazione e frenava lo sviluppo del Meridione. «...L'accordo industriale-agrario...», scriveva Gramsci (e Togliatti) nel 1926 «...si basa su una solidarietà di interessi tra alcuni gruppi privilegiati a scapito degli interessi generali della produzione e della maggioranza di chi lavora...I risultati di questa politica sono infatti il deficit del bilancio economico, l'arresto dello sviluppo economico di intiere regioni (Mezzogiorno, Isole)...la miseria crescente della popolazione lavoratrice, l'esistenza di una continua corrente di emigrazione e il conseguente impoverimento demografico». In particolare, il "compromesso" raggiunto fra le classi egemoni del Paese «...dà alle popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno una posizione analoga a quelle coloniali...i grandi proprietari di terre e la stessa borghesia meridionale si pongono invece nelle categorie che nelle colonie si alleano alla metropoli per mantenere soggetta la massa del popolo che lavora.». Per Gramsci sarebbe stato impossibile il riscatto del Mezzogiorno italiano senza la maturazione dei ceti urbani meridionali e la loro trasformazione in classe dirigente. Il marxista Antonio Gramsci attribuiva il manifestarsi della Questione meridionale principalmente ai molti secoli di diversa storia dell'Italia meridionale, rispetto alla storia dell'Italia settentrionale, come il Gramsci stesso evidenzia nella sua opera La questione meridionale, indicando l'esistenza, già nel 1860, di una profonda differenza socio-economica tra il Nord-centro e Sud della penisola italiana, evidenziando anche le gravi carenze delle precedenti amministrazioni spagnola e borbonica.
«La nuova Italia aveva trovato in condizioni assolutamente antitetiche i due tronconi della penisola, meridionale e settentrionale, che si riunivano dopo più di mille anni. L'invasione longobarda aveva spezzato definitivamente l'unità creata da Roma, e nel Settentrione i Comuni avevano dato un impulso speciale alla storia, mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.
Da una parte la tradizione di una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative, ed esisteva una organizzazione economica simile a quella degli altri Stati d'Europa, propizia allo svolgersi ulteriore del capitalismo e dell'industria. Nell'altra le paterne amministrazioni di Spagna e dei Borboni nulla avevano creato: la borghesia non esisteva, l'agricoltura era primitiva e non bastava neppure a soddisfare il mercato locale; non strade, non porti, non utilizzazione delle poche acque che la regione, per la sua speciale conformazione geologica, possedeva.L'unificazione pose in intimo contatto le due parti della penisola.»