Il Meridionalismo è il complesso degli studi, sviluppatisi nel corso del XX secolo, riguardanti le problematiche del periodo postunitario connesse all'integrazione del Mezzogiorno d'Italia nel contesto politico, economico e culturale, originatosi nel nuovo Stato unitario. Esso si è concretizzato in un'attività di ricerca e di analisi storica ed economica, ma, anche, di proposta politica. Il termine è anche utilizzato per riferirsi a scrittori che si sono occupati del meridionalismo. Tali scrittori sono chiamati "meridionalisti". Grazie all'apporto di studiosi e politici, quali Giustino Fortunato, Sidney Sonnino, Leopoldo Franchetti, Antonio Gramsci, Francesco Saverio Nitti e Gaetano Salvemini, si è sviluppata un'ampia ed eterogenea letteratura, ancora dotata di una notevole vitalità, concernente il Meridionalismo. L'analisi si è spesso orientata allo studio delle condizioni del Mezzogiorno prima dell'annessione al nascente Regno d'Italia. Tali condizioni erano percepite generalmente come retrograde e, secondo Richard Drake «i meridionalisti erano scrittori accomunati dall'interesse a riformare le condizioni retrograde del meridione d'Italia. Le origini del movimento risalgono alla metà del XVIII secolo[chi sarebbero secondo il Drake i meridionalisti del '700? O quali sarebbero i loro studi?]». Pertanto, lo stato di arretratezza delle Due Sicilie sarebbe stato preesistente alla perdita dell'indipendenza e la mancata integrazione del Meridione nella struttura economica del nuovo stato sarebbe dovuta anche a fattori di carattere sociale. A grandi linee, sono ascrivibili a questo tipo di approccio molti rappresentanti del meridionalismo di ispirazione liberale e positivista (come Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino), di quello di matrice liberal-socialista (come Gaetano Salvemini) e marxista (fra cui Antonio Gramsci ed Emilio Sereni) e di quello cattolico (come Luigi Sturzo). Ognuno di essi, però, propose peculiari interpretazioni e sviluppò diverse rappresentazioni di origini e cause delle problematiche del Mezzogiorno e ciò, in particolare, nel descrivere il mancato sviluppo economico del Sud a dispetto di quello avutosi nell'Italia centro-settentrionale. Una posizione a sé stante fu quella assunta da Francesco Saverio Nitti (e da alcuni scrittori napoletani, fra cui Ferdinando Russo), che, pur denunciando il basso profilo culturale della classe dirigente del Meridione preunitario, mise ripetutamente in evidenza i progressi economici che il Mezzogiorno borbonico aveva sperimentato prima di entrare a far parte del nascente Regno d'Italia. Opinione diffusa tra la grande maggioranza dei meridionalisti e condivisa anche da una parte rilevante degli storici, economisti e intellettuali contemporanei è che l'inadeguatezza (o, per alcuni, il completo fallimento) della politica governativa della nuova Italia e delle sue classi dirigenti nei confronti del Mezzogiorno, abbia in vario modo impedito, compromesso o rallentato uno sviluppo organico del Meridione sotto il profilo sia economico, sia sociale. Generalmente condivisa dai meridionalisti e da molti storici ed economisti è anche l'opinione secondo la quale la politica dello Stato italiano nel Sud del paese sia stata sempre fortemente condizionata dalle istanze di una serie di gruppi d'interesse (fra cui quelli dei proprietari terrieri, della finanza nazionale e internazionale e della grande industria settentrionale) e dalle varie forme di consociativismo fra i centri del potere nazionale e le oligarchie locali, che spesso hanno assunto chiare connotazioni di illegalità.
Non infrequenti sono stati gli accesi dibattiti, le incomprensioni, le critiche, spesso aspre, fra meridionalisti. Gramsci arrivò a vedere, in Giustino Fortunato e Benedetto Croce le più grandi figure della reazione italiana nel Meridione e definendole come «...le chiavi di volta del sistema meridionale…»
MATERIALI
http://www.treccani.it/enciclopedia/politica-e-letteratura_%28Enciclopedia-Italiana%29/