I primi anni del Novecento segnano, in ogni campo, il distacco dal passato, il balzo verso un avvenire più “tecnologico”. Il nuovo secolo si annuncia, infatti, come il secolo delle più grandi invenzioni della storia dell’umanità: la luce elettrica permette all’uomo di uscire per sempre fuori dal tunnel di una lunga notte che per millenni lo ha condizionato; l’automobile gli consente di provare emozioni, gusti, odori, sensazioni che nessuno prima ha mai sentito; la potenza devastatrice delle armi genera un’esaltata euforia; l’aeroplano sembra coronare l’antico sogno dell’uomo di dominare anche il cielo. Simbolismo e crepuscolarismo avevano già avvertito, anche se in sordina, la crisi del secolo romantico di fronte ad un mondo sempre più movimentato, a un’Europa sempre più aperta grazie al lungo periodo di pace e alle Esposizioni Universali che, oltre all’economia, favorivano lo scambio delle idee. Ma chi se ne rende conto, con chiara coscienza e programmatica provocazione, è Filippo Tommaso Marinetti, fondatore, teorico ed animatore del Futurismo. (Tutta l’avventura futurista inizia, infatti, con il “Manifesto” di Marinetti pubblicato a Parigi nel 1909, con la funzione di propagandare lo stile innovativo di questa vivace corrente artistica e letteraria d’avanguardia sviluppatasi in Italia nel primo decennio del ‘900.) Se il Crepuscolarismo è una prima forma di avanguardia italiana e un primo timido tentativo, peraltro tutto letterario, di dare una risposta nuova alla tradizione, ripensando la funzione del poeta e del poetare, il Futurismo, invece è un più rivoluzionario movimento d'avanguardia che ha risonanza europea. Il Futurismo, infatti, vuole programmaticamente dare una risposta radicale al “passatismo” della tradizione, coinvolgendo la totalità degli aspetti della cultura e dell’arte: dalla letteratura, alla pittura, alla musica, allo spettacolo, ecc. Vuole porsi come modo di sentire e di vivere, sintonizzandosi con le espressioni tipiche della vita moderna nelle sue variabili più vistose: la tecnica, l'industria, la macchina, la velocità, la massa, la città, la pubblicità, ecc. Nel loro primo proclama, il “Manifesto” del 1909, i Futuristi scrivono: “Noi vogliamo cantare l'amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.” È evidente il bisogno di vivere globalmente e totalmente, ma spesso acriticamente, la contemporaneità, con una carica dirompente e una furia iconoclasta verso il passato, il vecchio e il tradizionale, con un atteggiamento polemico e provocatorio che faranno del Futurismo il protagonista assoluto e scandalistico del dibattito culturale pubblico tra il 1909 e il 1913.
Il Futurismo nasce ufficialmente quando a Parigi, sulle colonne del “Figaro” del 20 febbraio del 1909, appare il “Manifesto del Futurismo”, a firma di Filippo Tommaso Marinetti. La scelta della tribuna parigina per il lancio del movimento è azzeccata e si rivela subito una gran cassa di risonanza capace di interessare aree culturali molto lontane, dalla Francia alla Russia dove il Futurismo ebbe altro svolgimento e, a livello letterario, produsse le sue cose migliori. Nel 1909 esce sul quotidiano parigino “Le Figaro” il primo “Manifesto del Futurismo” contenente i semi fondamentali di questa delirante e fruttuosa esperienza. Punti fondamentali e irrinunciabili della nuova corrente sono l’esaltazione della velocità (“un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia”), la glorificazione della guerra “sola igiene del mondo”, la distruzione “dei musei, delle biblioteche, delle accademie d’ogni specie” per togliere di mezzo una cultura morta che si regge sul “passatismo”, la liberazione dell’Italia “dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquarii”. Nessuno ha mai osato dire tanto e così esplicitamente, soprattutto, perché la tribuna dalla quale Marinetti parla non è solo la “provincia” italiana, ma addirittura Parigi. D’altra parte, Marinetti è irriducibile e continua a tuonare provocatoriamente: la violenza e il paradosso estroso delle immagini si reggono su un’estrema pirotecnica del linguaggio, tratto molto spesso dalla nuova realtà industriale del secolo, e reso incalzante da una foga irruente del discorso continuamente arrembante, spiritato, talora profetico e visionario. Al movimento, accompagnato da fenomeni del gusto e della moda, aderiscono ben presto scrittori e artisti di varia natura e provenienza culturale: i poeti Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi, ad esempio, dopo aver attraversato l'esperienza crepuscolare.
Trascurando tutti gli altri innumerevoli campi in cui il Futurismo porta le sue regole della trasgressione e della novità, un ruolo particolarmente significativo svolge il Manifesto del Teatro di Varietà del 1913, ancora una volta firmato da Marinetti. La scelta è di nuovo dissacrante e provocatoria; dopo aver proclamato il proprio “schifo” per il teatro contemporaneo “minuzioso, lento, analitico e diluito, degno tutt’al più della lampada a petrolio”, Marinetti rivela i pregi del Varietà: “distrugge il Solenne, il Sacro, il Serio, il Sublime dell’Arte coll’A maiuscola”. La furia iconoclasta continua, la volontà di cambiare il mondo non si è ancora calmata. “Il Futurismo – scrive ancora Marinetti – vuole trasformare il Teatro di Varietà in teatro dello stupore, del record e della fisicofollia”. Uno stato di volontaria allucinazione, dunque, che dà frutti buoni e meno buoni. Da un lato una frenetica attività, davvero una passione, che sconvolge l’Europa intera, approdando perfino nella lontana Russia (si pensi a Blok, Esenin, Majakovskij); dall’altro un entusiasmo talora un po’ epidermico per l’esaltazione della forza e della violenza che porta i futuristi, dietro il capofila Marinetti, a impegolarsi con l’esaltazione della guerra “sola igiene del mondo” e con l’avventura fascista che si presenta proprio con i caratteri roboanti così cari al movimento. Tuttavia bisogna osservare che vera e propria adesione politica al verbo mussoliniano si può forse attribuire solo a Marinetti, mentre la “corte futurista” badava probabilmente di più ad ottenere fama e commesse grazie all’illustre amicizia. Certamente un pizzico di opportunismo e qualche illusione da “grandeur” devono aver giocato un ruolo importante nella compiacente adesione al nuovo regime che, capace di ridare a Roma un impero, sembra promettere seriamente di consentire quella “Ricostruzione futurista dell’Universo” teorizzata nel 1915.
Nato in Francia nel 1910 da genitori italiani, il Futurismo ebbe risonanza europea e costituì una nuova ventata rivoluzionaria che scosse l’ambiente dell’arte. Il clima in cui maturò l’avventura futurista era dominato da un rapido sviluppo sia della scienza che delle nuove tecnologie, sotto la pressione dei grandi interessi industriali e finanziari. La realtà del primo Novecento, infatti, appare caratterizzata dalla macchina, dalle masse operaie emergenti, dalla metropoli che si diffonde a “macchia d’olio”; e ancora, dall’automobile e dall’aereo, simboli di una velocità sempre più frenetica, dal telegrafo, dal telefono, dal cinema, simboli delle accelerate comunicazioni di massa. E sono proprio i modelli di questa nuova realtà ad attirare l’attenzione e la simpatia dei futuristi: le macchine, i grandi complessi industriali, le città moderne, la velocità, il telegrafo, il telefono, il cinema ed, infine, l’automobile, nuovo mito nascente, ne sono alcuni esempi. Il Futurismo celebrò il mito della macchina e della velocità e la concezione della guerra come “sola igiene del mondo”. È in questo quadro storico che l’intellettuale vive lo “shock della modernità”, cui cerca di reagire con risposte diversificate. Quale la risposta dei futuristi? Essi si fanno banditori e sacerdoti della nuova civiltà nel bene e nel male, esaltandone alcuni vistosi aspetti, quali la velocità, la simultaneità, l’automobile che è il nuovo fascinoso mito destinato a tanto avvenire. Compreso l’inarrestabile sviluppo della nuova realtà portata dalla macchina e l’impossibilità di esorcizzarla, i futuristi aprono la via all’esaltazione, spesso indiscriminata, della civiltà industriale e urbana. Una volta accettata questa logica, i futuristi promuovono un violento attacco contro l’arretratezza delle strutture socio-economiche del paese, contro la mancanza di un profondo sviluppo tecnologico che, in quegli anni, tanto ancora differenzia il clima nazionale dal clima metropolitano europeo. Scatenano la loro violenza “travolgente e incendiaria”, i loro artifici provocatori contro tutto ciò che è di ostacolo a un nuovo progresso industriale e alla dimensione del moderno. Attaccano anche il vecchiume delle istituzioni culturali e letterarie, lo stagnante culto dell’arte, l’umanesimo antiproduttivo del poeta.
Il Futurismo, contro la cultura e l’arte tradizionale, propugnò una nuova estetica ed una nuova concezione di vita, fondate sul dinamismo come principio – base della moderna civiltà industriale. Marinetti aggredì gli schemi arcaici e vincolanti della cultura tradizionale con violenza ed asprezza e ne attuò una impetuosa corrosione. I futuristi, quindi, rinnegarono il passato e guardarono alla realtà dell’era meccanica, nella quale tutto si muove, tutto corre. Nacque da ciò l’esigenza di dipingere l’oggetto in movimento, o meglio il movimento stesso degli oggetti nello spazio, creando composizioni in cui sono resi concreti dinamismo, velocità, suoni, odori, rumori; gli oggetti, in tal modo, venivano rappresentati con un procedimento molto simile a quello attuato dai cubisti che, sulla superficie piana della tela, scomponevano l’oggetto nei suoi volumi, in tutte le sue parti, visibili e nascoste, riducendolo quasi ad una sequenza di forme geometriche organizzate in una visione simultanea nel tempo e nello spazio. Si tratta di immagini che si deformano in un turbine di linee, forme e colori, dentro il quale lo spettatore si sente quasi trascinato. (Per rendere evidente questa esplosione di movimento e velocità i futuristi scomposero e costruirono le immagini con un procedimento molto simile a quello adottato dai Cubisti.) Al di là di ogni pericolosa e ambigua esaltazione, resta comunque che oggi tutta la critica riconosce che il Futurismo italiano è stato il movimento d’avanguardia più innovativo del Novecento anche a livello europeo. Ripulito dalle incrostazioni di regime, esso viene così riconsegnato ad una dimensione artistica più propria, di sicuro più asettica e meno manichea, caratteristica di un processo di rivalutazione che, attraverso un pullulare di mega-mostre e convegni, sembra contraddistinguere questi iperattivi anni Ottanta. (La rivoluzione formale) Marinetti, eccezionale protagonista-organizzatore-agitatore, fece seguire a quello dei 1909 altri manifesti: il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” (11 maggio 1912) e “Distruzione della sintassi - Immaginazione senza fili - Parole in libertà” (11 maggio 1913). Nel 1912 Marinetti pubblicò il “Manifesto tecnico della letteratura futurista”. Il suo scopo era essenzialmente quello di liberare la poesia dagli schemi e dai modelli arcaici e vincolanti della cultura tradizionale. Rinnegando il passato Marinetti intendeva rivolgere la poesia al futuro: di qui il nome del suo movimento, appunto il “Futurismo”.
Anche il linguaggio deve essere rivoluzionario se si vuole condurre fino in fondo il processo di definitiva rottura con la tradizione: la parola deve essere foneticamente, graficamente e sintatticamente liberata: “Bisogna distruggere la sintassi… si deve usare il verbo all’infinito… si deve abolire l’aggettivo… l’avverbio… anche la punteggiatura… ogni sostantivo deve avere il suo doppio… c’è bisogno di analogie sempre più vaste… non vi sono categorie d’immagini… distruggere nella letteratura l’io”. Questi i capisaldi del “Manifesto tecnico della letteratura futurista” del 1912, secondo i cui principi Marinetti scrive il poemetto parolibero “Zang Tumb Tumb”, l’“Assedio di Adrianopoli”, dove l’ardore e il fragore della battaglia, il crepitare della mitragliatrice, il sibilo delle pallottole, il rombo del cannone sono resi con invenzioni sia fonetiche che grafiche del tutto inedite.
Importante risulta l’operazione futurista nel liquidare i valori culturali della vecchia borghesia preindustriale, già avviata in tono minore dai crepuscolari, e nel prospettare, non senza ambiguità, un orizzonte di valori culturali e letterari aderenti alla nuova realtà industriale. Ma l'operazione più efficace, linguisticamente e letterariamente parlando, i futuristi la svolgono sul piano tecnico-formale. Mentre i crepuscolari prendono, più di quanto non danno, dalla lingua letteraria e dalla lingua parlata, l'esperienza futurista invece incide in maniera più efficace.
Possiamo così riassumere le nuove proposte linguistiche di Marinetti e dei futuristi: distruzione della sintassi, della punteggiatura, dell'aggettivo, in particolare dell'aggettivo qualificativo, dell’avverbio, della letteratura dell'io. E ancora, i futuristi recuperano e utilizzano l'onomatopea, l'immaginazione senza fili, l'analogia, l'aggettivo semaforico, il verbo all'infinito, il verso libero, le parole in libertà, lo sperimentalismo grafico. (Il Futurismo predilesse lo sperimentalismo delle onomatopee, ossia quei suoni che imitano la natura, delle immagini e delle parole in libertà.) Nei futuristi troviamo la volontà di rifiutare il passato e l’esigenza di rinnovare il linguaggio artistico per adeguarlo ai tempi nuovi. In letteratura, infatti, i futuristi proposero una rivoluzione formale basata, oltre che sulla distruzione della sintassi, della punteggiatura, dell’aggettivo, dell’avverbio, anche su una nuova disposizione delle parole “in libertà”, anticipando in tal modo il “Dadaismo”. Si tratta di un movimento artistico e letterario d’avanguardia, sorto a Zurigo nel 1916. Siamo nel periodo della prima guerra mondiale: le distruzioni, la morte, il dolore che il conflitto lascia dietro di sé e il crollo di ogni valore spirituale provocano in un gruppo di artisti, poeti e scrittori pacifisti per lo più profughi, provenienti da varie nazioni e di differenti ideologie, tutti impegnati in un’ intensa propaganda contro la guerra e rifugiatisi a Zurigo, un gesto di protesta violenta, di accusa e di rivolta contro la società ed i miti da essa costruiti come la cultura tradizionale e le convenzioni sociali. Nasce così il movimento Dada la cui parola, probabilmente presa dal linguaggio infantile, nella sua insignificanza, vuole significare il rifiuto radicale di quel gruppo per ogni atteggiamento razionalistico. Il movimento Dada fu dunque il violento disgusto di intellettuali ed artisti per l’assurdità e l’orrore della guerra; fu un preciso impegno anticonformista; fu la rivolta antiautoritaria che divenne nelle opere di quegli artisti violenza provocatoria; fu la rivolta contro una società impositiva ed alienante che tutto valutava in rapporto alla logica del profitto; fu un’intransigente negazione verso l’arte, al fine di costruirne una nuova, in radicale opposizione a quella tradizionale, o meglio una “anti–arte” che fosse contestatrice, provocatoria, ironica.
Dobbiamo riconoscere a Marinetti e ai futuristi la prospettiva di un nuovo uso del linguaggio poetico e non poetico, il sincero bisogno di rinnovamento formale, oltre che tematico, che veniva a saldarsi con le esigenze dei nuovi linguaggi tecnologici. Lo snellimento sintattico, la tecnica dell'analogia, le parole in libertà segnano uno dei momenti fondamentali nell'evoluzione della poetica moderna e influenzeranno l'evoluzione della lingua fino ai giorni nostri. D'altra parte, però, non possiamo neppure tacere i limiti di un'esperienza che spesso si risolve nei giochi di parole, in smania distruttrice, in puro sperimentalismo grafico. All'efficace azione distruttiva di certi schemi non si affiancò un'altrettanto efficace azione ricostruttrice di schemi diversi. Mancò a questi poeti la coscienza che la lingua, oltre che creazione, è anche costrizione, convenzione necessaria. Il futurismo è stato un fenomeno europeo, tipicamente d'avanguardia, in quanto ha scardinato le fondamenta del romanticismo letterario e politico, l'impressionismo pittorico e il tardo neoclassicismo architettonico. E ha posto le fondamenta dello sperimentalismo letterario, della pittura astratta, della musica dodecafonica e del teatro dell'assurdo. Il futurismo è stato il tentativo artistico più significativo del Novecento di farla finita col passato culturale preborghese o non radicalmente borghese. La sua istanza infatti è quella di fondare una nuova coerenza tra la prassi borghese e un nuovo sentire individualistico, che traesse da quella stessa prassi le ragioni del proprio agire, le motivazioni del proprio essere. Per "prassi borghese" s'intende, in particolare, quella emersa con la seconda rivoluzione industriale di fine Ottocento, che ha reso irreversibile, grazie alla rivoluzione tecnico-scientifica e al crescente militarismo, il processo economico capitalistico su scala mondiale, trasformandolo in imperialismo.Il futurismo sfruttò i successi economici della seconda rivoluzione industriale e cercò di porre le basi culturali per ulteriori successi della borghesia industriale. In questo senso si può dire che il futurismo sia stato l'espressione di una borghesia ottimistica, fiduciosa in se stessa, nella propria carica emancipativa, nella propria idea di illimitato progresso in nome della scienza, della tecnica e soprattutto in nome di una forsennata industrializzazione e privatizzazione della proprietà e dei profitti.La storia tuttavia s'è preoccupata di dimostrare che il tanto decantato "progresso borghese" non era altro che una cornice barocca di un quadro a tinte fosche. Infatti, tra i successi della seconda metà dell'Ottocento e quelli degli anni '50 del XX secolo, il futurismo è incappato in due guerre mondiali (ivi incluso il crollo borsistico del '29) che l'hanno completamente sconvolto, facendolo uscire, senza tanti complimenti, dal paradiso delle proprie illusioni, tanto che ancora oggi la critica stenta a rivalutare un fenomeno artistico e culturale come questo, che pur ha dato molto alla cultura italiana ed europea.Il futurismo ha giocato un ruolo progressista nei suoi primi 10 anni, dal 1909 (anno di fondazione) al 1919, poiché sino alla I guerra mondiale si poteva pensare a una sorta di provocazione culturale rigeneratrice, nei cui confronti la curiosità, l'interesse per la novità potevano anche starci.Il futurismo poteva avere una sua ragion d'essere entro il processo emancipativo borghese, forse storicamente necessario, se messo a confronto con la vetusta cultura cattolica, con la statica e immobile cultura idealistica e romantica, legate a un passato rurale incapace di riformarsi, incapace di rinunciare, nei livelli dirigenziali, ai privilegi parafeudali.Non a caso nella sua fase critica di tipo anti-istituzionale, anti-accademica, anti-passatista, il futurismo riuscì a trovare degli alleati anche nelle forze di sinistra, persino nella Russia bolscevica.Ma dopo la I guerra mondiale il futurismo poteva ancora rivendicare l'ingenua fede nel progresso ad oltranza? Non è forse stata proprio la guerra, "sola igiene del mondo", a smascherare i futuristi per quello che erano, e cioè degli irresponsabili avventurieri?In tal senso si può forse sostenere che il futurismo avesse già in sé, a prescindere dal disastro delle guerre mondiali, tutte le condizioni della propria ingloriosa fine. Il fatto di volere un progresso a tutti i costi, che violasse qualunque condizionamento passato, che si ponesse esplicitamente al servizio di un'unica classe sociale: la borghesia più radicale, più insofferente, meno disposta ad accettare le crisi sociali, inevitabilmente poneva tale movimento al di fuori della storia. In nome di una concezione falsata di progresso, il futurismo è rimasto cieco nei confronti degli orrori del nazi-fascismo. E ciò non tanto perché si voleva far primeggiare l'istinto primordiale, l'immediatezza dei sensi sulla ragione e sul compromesso, quanto perché, sin dall'inizio, si voleva dare alla propria svolta una caratterizzazione ideologica ben marcata: la volontà di potenza della cultura borghese su quella rurale e operaia, che poi si traduceva, a livello internazionale, nel primato della razza bianca su tutte le altre, e nel contesto familiare, nel primato dell'uomo sulla donna (quando, nel 1912, le donne futuriste redigono il loro Manifesto, il modello che perseguono è quello della donna lussuriosa, particolarmente caro al maschio futurista, che in nome della critica ai prototipi dannunziani e fogazzariani, arrivò ad elogiare la prostituzione, lo stupro delle africane e a invocare il divorzio come mera libertà maschile). Marinetti voleva una rivoluzione politica seguendo un'ispirazione artistico-letteraria, senza saper nulla di economia e di rapporti tra classi \sociali, senza conoscere le esigenze della tattica e della strategia politica, in cui invece il suo conterraneo Lenin era maestro. Egli esprime da un lato la carica creativa ed innovativa dello spirito artistico italiano, e dall'altro la limitatezza delle concezioni politiche borghesi, viziate, al fondo, da aspirazioni di dominio sociale e culturale.In quanto artista e critico d'arte, Marinetti fu senza dubbio un grande innovatore: cosa che gli fu riconosciuta anche da Gramsci e da Lunaciarsky. Ma come politico ebbe posizioni sempre molto discutibili: non solo perché s'illuse sull'effettiva carica rivoluzionaria del fascismo, ma anche perché accettò di convivere pacificamente con la faccia reazionaria dello stesso fascismo.Marinetti entrò in conflitto con Mussolini quando questi, dopo la sconfitta nelle elezioni del 1919, iniziò a cercare intese col Vaticano, con gli agrari e coi monarchici. E si riappacificò col duce nel '29, quando -lui che era stato antiaccademico per definizione- accettò la dirigenza dell'Accademia d'Italia, e proprio mentre il duce aveva già scelto, come poeta vate del Fascio, quel D'Annunzio tanto odiato dai futuristi.Nella sua esasperata creatività à tous prix, Marinetti si arruolò volontario durante l'invasione d'Etiopia e poi nella campagna di Russia, a 60 anni suonati, forse nella speranza di finire "martire", eroe della patria, come durante la I guerra mondiale Boccioni e Sant'Elia.Scrisse opere dichiaratamente fasciste, come Il poema africano della divisione "28 Ottobre" (1936, Canto uomini e macchine della guerra mussoliniana (1942) e Quarto d'ora di poesia della X Mas, ove canta le lodi della più infame delle Brigate Nere. Gli ultimi anni della sua vita li passò nella Repubblica di Salò, a Bellagio.Già si è detto che con questo non si vuole misconoscere il valore artistico di questo movimento culturale e neppure la grande capacità che Marinetti aveva di utilizzare i mass-media, la pubblicità ecc. Purtroppo i nessi tra futurismo e fascismo hanno portato la critica italiana, imbevuta di cattolicesimo e di spiritualismo neo-hegeliano, ma anche di un gramscismo manierato, a fare grossolane esemplificazioni, impedendo a se stessa di valorizzare quanto di meglio, sul piano artistico-culturale, aveva prodotto il futurismo. Si pensi solo al design, alle moderne espressioni artistiche come architettura, pittura, teatro, danza, decorazione, fino alla pubblicità e alla moda. Parlando di avanguardia ci si riferisce ad un movimento artistico e/o letterario che sorge dall'attività di un gruppo di persone alla ricerca di nuove forme espressive, spesso opposte alle forme estetiche tradizionali, e che spesso utilizzano il linguaggio per promuoverne il superamento.Il termine avanguardia deriva dal linguaggio militare e fu introdotto nell'arte agli inizi del XIX secolo; in Italia furono i futuristi ad imporlo. Filippo Tommaso Marinetti parla di avanguardie per definire militarmente le prime linee dell'arte, dell'architettura e della letteratura futuriste.Charles Baudelaire fu il primo ad applicare il termine avanguardia, tipico del linguaggio militare, per definire con ironia gli scrittori francesi di sinistra. Il termine, ancora oggi, si riferisce quindi a tutti i movimenti di opposizione e di sperimentazione di forme nuove sia nell'ambito letterario quanto in quello pittorico, musicale e artistico in genere. Nell'accezione odierna esso si riferisce soprattutto a quei movimenti, come la scapigliatura, il simbolismo, il decadentismo sorti dalla crisi del Romanticismo e più propriamente a quelli nati nel primo Novecento.È infatti nel primo decennio del Novecento che sorgono i veri movimenti tipici dell'avanguardia, come il fauvismo e il cubismo in Francia che vanta come rappresentanti Henri Matisse e Pablo Picasso, l'espressionismo e la dodecafonia in Germania e in Austria con Vasilij Kandinskij, Georg Trakl, il futurismo in Italia con Filippo Tommaso Marinetti e Umberto Boccioni, il futurismo in Russia con Vladimir Majakovskij, l'imaginismo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti con Ezra Pound e nel primo dopoguerra con il dadaismo e il surrealismo. Il manifesto di questi movimenti consiste nella provocatoria distruzione delle tradizionali forme estetiche intese, come teorizzava Hegel, nella "morte dell'arte". Nel rifiutare l'arte borghese era infatti palese il rifiuto della società borghese e quindi una tendenza delle avanguardie verso le ideologie e i movimenti rivoluzionari.Tra le caratteristiche di tutte le avanguardie vi è quella di voler instaurare con il pubblico un rapporto arrogante ed aggressivo nell'intento di mettere in crisi, nella massa dei fruitori, la stabilità della cultura istituita. C'è da dire che tutte quelle attività promosse dalle neovanguardie che si realizzano nell'atto comunicativo tra autore e spettatore (come il grande sviluppo che impressero al teatro e al cinema, le recite pubbliche, gli spettacoli di poesia), tendono a conquistare proprio l'adesione di quel pubblico che si disprezza, creando così una contraddizione tipica di un'arte che non può negare la società.Nel secondo dopoguerra, pur in tempi differenti, si assiste alla rinascita di sperimentazioni di diversi linguaggi estetici. I nuovi gruppi di intellettuali si sentono chiamati a interpretare la società, ora in piena ricostruzione e sviluppo, e tra gli anni '50 e '60 intensificano la loro attività. A differenza delle precedenti avanguardie storiche, le nuove avanguardie abbandonano ogni atteggiamento di polemica spettacolare e sembrano piuttosto decise a conquistare gli spazi rubati e deteriorati dai mass media. La maggior parte delle esperienze delle nuove avanguardie si rifanno all'ideologia marxista, apportando in più temi antropologici e psicoanalitici.In Germania nasce il Gruppo 47, rappresentato da Guenther Grass e Heinrich Böll che esprimono l'ideale democratico di ricostruire la cultura del paese. In Francia nascono, all'interno della rivista "Tel quel", letterati che dichiarano di voler abbattere i codici culturali tradizionali a favore delle nuove teorie freudiane e delle teorie strutturaliste, come Roland Barthes, Philippe Sollers e Alain Robbe-Grillet. Non senza importanza è stato in questo periodo il contributo di tutti quei movimenti culturali degli Stati Uniti che con la pittura gestuale, il cinema underground, la pop-art e le performances teatrali, hanno gettato una ventata nuova colta da tutti i paesi.In Italia l'azione della neoavanguardia (o Nuova avanguardia) si colloca entro limiti temporali ben definiti. In quello che si può definire l'ultimo movimento letterario del Novecento si possono distinguere due periodi. Il primo periodo può essere datato partendo dal 1956, anno in cui fu fondata la rivista "Verri" e pubblicata l'opera di Edoardo Sanguineti Laborintus, fino al 1962, anno della pubblicazione di Umberto Eco Opera aperta e del quinto numero del "Menabò". Il secondo periodo inizia nel 1963 con il primo convegno di Palermo e si conclude con l'ultimo numero di "Quindici". Nei primi sette anni si assiste alla formazione e alla crescita della nuova avanguardia o neoavanguardia come alcuni preferiscono chiamarla, mentre negli altri sette anni si delimita il momento di maggior forza del Gruppo 63, al quale fa seguito la crisi e la fine dell'esperienza collettiva. Soprattutto il Gruppo 63 con Angelo Guglielmi, Alfredo Giuliani, R. Barilli, Umberto Eco e Alberto Arbasino ha cercato di modificare il rapporto tra linguaggio e letteratura decretando il primato del primo nella costruzione dei significati di un testo.Attualmente l'esperienza della avanguardie si può considerare compiuta e assistere così ad un ritorno della tradizione. Cosicché si può parlare, sul piano letterario ma non solo, di epoca post-moderna.
MATERIALI
http://www.treccani.it/enciclopedia/futurismo/
https://www.youtube.com/watch?v=lDqd9GvRfKE