Il positivismo, movimento dedito al progresso e alla ricerca scientifica, si era rivelato sostanzialmente incapace di dare risposte soddisfacenti all'uomo nelle sue esigenze estetiche e di gusto, essendo le scoperte scientifiche "sentite" da molti quasi come un segno di limitazione. L'uomo tende infatti a interrogarsi su di sé, sui suoi bisogni, sui suoi desideri, assai più di quanto si occupi della realtà fisica o naturale, perché incapaci di coinvolgere più di tanto sentimenti e aspirazioni. Gli interrogativi degli uomini in generale, concernenti più il loro mondo e i loro prodotti che la realtà extra-umana, percepiscono la scienza come relativamente estranea ai loro bisogni. Infatti, tutte le risposte (tra cui esistenziali) che l'uomo cercava attraverso la scienza non furono trovate o risultarono poco convincenti. La scienza dovette ammettere i suoi limiti, come per i fenomeni naturali, che non era propriamente in grado di spiegare, ma solamente di classificare e categorizzare. Inoltre le nuove teorie, come quella della meccanica quantistica (principio di indeterminazione di Heisenberg del 1927) ammisero la casualità, la probabilità e l'improbabilità, la definizione matematica e l'inesattezza come realtà di cui prendere coscienza. La ragione e la scienza apparvero insufficienti: la loro logica era fredda e distaccata, le loro spiegazioni lasciavano insoddisfatte le domande più pressanti e le istanze fondamentali dello spirito. Allo stesso modo la filosofia di Kierkegaard rifiutò l'idealismo di Hegel che sommergeva nell'astrazione l'uomo, ignorando la sua individualità ed il suo tormento interiore, la sua possibilità di essere libero contro le rigide leggi della natura e gli schemi esteriori della morale. Le correnti filosofiche antipositivistiche, di impronta spiritualistica ed irrazionalistica, si moltiplicarono: si ricordano il misticismo di Arthur Schopenhauer, il nichilismo di Friedrich Nietzsche,il vitalismo di Gabriele D'Annunzio l'intuizionismo di Henri Bergson, il contingentismo di Boutroux, il neoidealismo di Benedetto Croce. La crisi del positivismo determinò un ritorno allo spiritualismo che, nelle sue varie forme, riaffermò il valore della volontà, della libertà e della spiritualità umana, riscoprendo, contro l'arido razionalismo, gli impulsi più reconditi dell'animo, l'intuizione, il mistero. Il razionalismo è ormai finito, travolto dalla crisi della borghesia ottocentesca, e la letteratura sente il bisogno di scandagliare quegli angoli più remoti dell'anima dove spesso stanno anche il male, il vizio, l'apatìa, la lussuria, la voluttà, la noia. La psicoanalisi di Sigmund Freud fu interpretata come una base scientifica del decadentismo, in quanto riusciva a spiegare i vari impulsi e riflessi inconsci che erano alla base della creazione poetica e letteraria di ogni artista decadente. L'eroe decadente si chiude infatti sempre più in se stesso, cercando di ascoltare quelle voci interiori e quelle folgorazioni che lo portavano a trovare le famose "correspondances", cioè le corrispondenze che collegano in modo misterioso tutte le cose. Tali corrispondenze derivano dal fatto che l'artista decadente afferma che la realtà non è conoscibile attraverso le teorie scientifiche, quindi l'unico mezzo per attingere alla realtà nuda e schietta è il totale abbandono all'empatia e all'irrazionalità. Dette corrispondenze, che uniscono il mondo in un Tutto, in un'unica entità di base, coinvolgono direttamente l'uomo (Panismo). Il precursore è Charles Baudelaire che sottolinea i due aspetti entro cui si dibatte la crisi dell'intellettuale: lo Spleen (noia e disgusto della vita) e l'Ideal (ricerca di un ideale, come fuga verso mondi lontani, esotici, dalla natura incontaminata o verso "paradisi artificiali"). Non a caso gli artisti più ammirati da Baudelaire sono Edgar Allan Poe e Richard Wagner, nelle cui creazioni emergono alcuni tratti salienti del Romanticismo e del Simbolismo.
Agli inizi degli anni ottanta e novanta del XIX secolo si avvertiva in Francia uno stato d'animo caratterizzato da un senso di disfacimento e termine di una civiltà; si avvertiva un prossimo crollo, un cambiamento epocale. I poeti esprimevano lo smarrimento della coscienza e la crisi dei valori di fine Ottocento che erano stati sconvolti dall'avvento del positivismo, dalla rivoluzione industriale e da un progressivo scatenarsi degli imperialismi. In questo periodo l'uomo si sente in contrasto con la società che lo circonda, insensibile e distaccata di fronte alle sue esigenze. La prima causa è lo sviluppo dell'Imperialismo, cioè la volontà delle grandi potenze europee (come la Francia, l'Inghilterra, la Germania ecc.) di estendere sempre più i propri possedimenti attraverso un imponente sviluppo industriale e bellico, che poté permettere la conquista di colonie in Asia e in Africa, paesi capaci di fornire manodopera e materie prime a basso costo. Ciò è visto come missione di civiltà verso popoli barbari e primitivi ma che nascondeva nelle grandi potenze una forte volontà espansionistica e concorrenziale. Le borghesie europee, che nel corso dell'Ottocento avevano combattuto all'interno dei loro stati per il trionfo degli ideali, nati dalla Rivoluzione francese del 1789, voltano le spalle alle masse popolari, disattendendo così ai principi di liberté, egalité e fraternité. Ottenuto il potere in accordo con i sovrani regnanti, la borghesia, depositaria dell'economia, cura i propri interessi e conduce un tipo di vita perbenista e conformista ed è insensibile verso il popolo. Nascono così le prime "questioni sociali", i sindacati (per tutelare i doveri ed i diritti del lavoratore) e le lotte proletarie fra capitale e lavoro dipendente. L'intellettuale, portavoce della crisi popolare, si chiude così in sé stesso, ricercando l'individualismo, l'egoismo e l'alibi per non affrontare una realtà grigia e senza stimoli, come già accaduto. All'inizio del XX secolo lo scrittore entra in crisi vedendo fallire i propri obiettivi di fotografare la vita quotidiana, aveva lo scopo primario di descrivere i fatti in modo distaccato e oggettivo verismo. Si sente emarginato e si chiude in sé divenendo protagonista di una serie di esperienze che lo portano a sentirsi "vittima" per la sua incapacità di impegnarsi nella società. Gli artisti perdono così la loro fiducia nella ragione e si lanciano verso un mondo misterioso che suppongono si celi dietro la realtà; tra loro si diffonde un senso di sconfitta. In Italia si è soliti individuare due periodi distinti di decadentismo: il primo, di cui facevano parte D'Annunzio, Pascoli e Fogazzaro, ancora caratterizzato dalla necessità di costruire miti decadenti. Al contrario nel secondo, di cui occorre ricordare in particolare Pirandello, Svevo e Borgese, la coscienza della crisi è ormai acquisita e la realtà viene sottoposta ad una critica molto lucida e distruttiva. Il termine "decadente" fu, in origine, usato in senso dispregiativo, per indicare giovani poeti che vivevano fuori dalle norme comuni, considerati appunto simboli di una "decadenza sociale" che disprezzava il progresso e la fede nella scienza del positivismo. Più tardi passò a designare la dilagante "decadenza" della società materialista di fine secolo, orientata verso l'esaltazione delle conquiste tecnologiche e alla quale gli intellettuali si sentivano estranei. Essi, infatti, si considerano decadenti, con un atteggiamento di superiorità spirituale, in quanto inclini a cogliere i segni della raffinatezza e dell'eleganza intellettuale delle epoche e periodi di "decadenza" rispetto al normale.
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