7. GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI
La letteratura dialettale italiana fu un filone parallelo al romanticismo ottocentesco, rappresentata dal lombardo Carlo Porta e dal romano Giuseppe Gioachino Belli. Quest'ultimo fu il più influente, con i suoi Sonetti romaneschi (oltre 2000), raccolti in una pubblicazione nella seconda metà dell'800. I sonetti rispecchiano vari argomenti, suddivisi in due filoni: il trattare argomenti di vita quotidiana, descrivendo dei veri e propri bozzetti della Roma papalina, con ironici e sprezzanti commenti critici sull'incapacità popolare di redimersi dal potere, benché protesti e soffra, accettando così questo sistema come il vero emblema di Roma, immutabile nei secoli; il trattare argomenti politici e religiosi, con critiche feroci verso la politica, i vari imperatori e il pontefice stesso. La poetica del Belli abbraccia lo stile dell'epitaffio del noto popolare Pasquino, statua a cui venivano affissi versi satirici quotidiani contro la politica e il papato. Tra i sonetti più famosi ci sono quelli de Li soprani der monno vecchio e Er Giudizzio Universale; nel primo Belli traccia in breve la storia simbolica del rapporto potere-popolo, facendo parlare un araldo del re, che in tono molto diretto e schietto: "Io sono io e voi nun ziete un cazzo!" fa comprendere al lettore e alla massa l'indiscutibilità del potere autoritario dell'imperatore di turno su una popolazione, costretta soltanto a subire per ordine quasi naturale della vita sociale dell'essere umano. Nel secondo sonetto Belli, seguendo la scia del satirico romano Persio, fa notare che quando ci sarà il Giudizio Universale, Dio non guarderà in faccia a nessuno, livellando sullo stesso settore sia i nobili e plebei, invitando dunque il popolo tutto a vivere un'esistenza meritevole di distinzioni, dopo la morte, per i meriti, e non per le ricchezze accumulate.