3. ALESSANDRO MANZONI
3.1. I Promessi sposi
I promessi sposi è un celebre romanzo storico di Alessandro Manzoni, ritenuto il più famoso e il più letto tra quelli scritti in lingua italiana. Preceduto dal Fermo e Lucia, spesso considerato romanzo a sé, fu pubblicato in una prima versione nel 1827 (detta "ventisettana"); rivisto in seguito dallo stesso autore, soprattutto nel linguaggio, fu ripubblicato nella versione definitiva fra il 1840 e il 1842 (detta "quarantana"). Ambientato tra 1628 e il 1630 in Lombardia durante il dominio spagnolo, fu il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Il romanzo si basa su una rigorosa ricerca storica e gli episodi del XVII secolo, come ad esempio le vicende della monaca di Monza (Marianna de Leyva y Marino) e la Grande Peste del 1629–1631, si fondano su documenti d'archivio e cronache dell'epoca. Il romanzo di Manzoni viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana - in quanto è il primo romanzo moderno di questa tradizione letteraria - ma anche un passaggio fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana.
I promessi sposi, inoltre, sono considerati l'opera più rappresentativa del romanticismo italiano e una delle massime della letteratura italiana per la profondità dei temi (si pensi alla filosofia della storia in cui, cristianamente, opera l'insondabile Grazia divina nella Provvidenza). Inoltre, per la prima volta in un romanzo di tale successo, i protagonisti sono gli umili e non i ricchi e i potenti della storia. Il romanzo, infine, per la sua popolarità presso il grande pubblico e per il vivace oggetto d'interesse da parte della critica letteraria tra XIX e XX secolo, è stato rielaborato in forme artistiche, che vanno dalla rappresentazione teatrale al cinema, dall'opera lirica alla fumettistica.
La prima idea del romanzo risale al 24 aprile 1821, quando Manzoni cominciò la stesura del Fermo e Lucia, componendo in circa un mese e mezzo i primi due capitoli e la prima stesura dell'Introduzione. Interruppe però il lavoro per dedicarsi al compimento dell'Adelchi, al progetto poi accantonato della tragedia Spartaco e alla scrittura dell'ode Il cinque maggio. Dall'aprile del 1822 il Fermo e Lucia fu ripreso con maggiore lena e portato a termine il 17 settembre 1823: il Manzoni dichiarò, nella lettera all'amico Claude Fauriel del 9 novembre dello stesso anno, di aver portato a termine una nuova creazione letteraria caratterizzata dalla tendenza al vero storico. L'oggetto della vicenda fu offerto al Manzoni dalla lettura di alcuni manoscritti recanti episodi realmente accaduti (le minacce ad un curato di campagna per non far celebrare il matrimonio tra due giovani, per esempio) che saranno centrali per lo sviluppo della trama. La prima idea del romanzo risale al 24 aprile 1821, quando Manzoni cominciò la stesura del Fermo e Lucia, componendo in circa un mese e mezzo i primi due capitoli e la prima stesura dell'Introduzione. Interruppe però il lavoro per dedicarsi al compimento dell'Adelchi, al progetto poi accantonato della tragedia Spartaco e alla scrittura dell'ode Il cinque maggio. Dall'aprile del 1822 il Fermo e Lucia fu ripreso con maggiore lena e portato a termine il 17 settembre 1823: il Manzoni dichiarò, nella lettera all'amico Claude Fauriel del 9 novembre dello stesso anno, di aver portato a termine una nuova creazione letteraria caratterizzata dalla tendenza al vero storico. L'oggetto della vicenda fu offerto al Manzoni dalla lettura di alcuni manoscritti recanti episodi realmente accaduti (le minacce ad un curato di campagna per non far celebrare il matrimonio tra due giovani, per esempio) che saranno centrali per lo sviluppo della trama. Differente per struttura narrativa, cornice, presentazione dei personaggi e uso della lingua è invece la prima edizione de I promessi sposi, rivisitata dal Manzoni grazie all'aiuto degli amici Ermes Visconti e Claude Fauriel. Questa stesura dell'opera (la cosiddetta ventisettana, che è la prima edizione a stampa) fu pubblicata da Manzoni nel 1827 (in tre tomi distinti tra il 1825 e 1827) con il titolo I promessi sposi, con l'aggiunta del sottotitolo storia milanese del sec. XVII, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni, riscuotendo un notevole successo di pubblico. La struttura più equilibrata (quattro sezioni di estensione pressoché uguale), la decisa riduzione di quello che appariva un "romanzo nel romanzo", ovvero la storia della monaca di Monza, la scelta di evitare il pittoresco e le tinte più fosche a favore di una rappresentazione più aderente al vero, sono i caratteri di questo che è in realtà un romanzo diverso da Fermo e Lucia.
Oltre alla struttura linguistica, cambiano anche i nomi dei personaggi e, in alcuni casi, anche il loro carattere. Oltre a Fermo che diventa Renzo, il nobile Valeriano diventa definitivamente Don Ferrante, così come il Conte del Sagrato cambia il suo nome nel ben più celebre Innominato. In quest'ultimo caso, il personaggio cambia radicalmente: il Conte del Sagrato non possiede l'indole riflessiva, tragicamente esistenziale nel rimembrare le sue colpe, della sua controparte dell'Innominato. Il Conte del Sagrato, infatti, è «un killer d'alto rango, che delinque per lucro [...] ha anche una tinteggiatura politica antispagnola», elementi non presenti nell'Innominato. Linguisticamente, Manzoni abbandona il composto indigesto linguistico dell'edizione precedente per avvicinarsi al toscano in quanto è ritenuta dal Manzoni, per il suo lessico "pratico" utilizzato sia presso gli aristocratici che i popolani, la lingua più efficace per dare un tono realistico e concreto al suo romanzo. Manzoni, che in famiglia parlava o il francese (lingua della nobiltà e delle classi colte) o il dialetto milanese, tra il 1824 (ancor prima del termine della stesura) e il 1827 cercò di imparare il toscano attraverso strumenti linguistici, utilizzando il dizionario Cherubini (italiano-milanese) e il Grand dictionnaire français-italien di François d'Alberti de Villeneuve per la traduzione in italiano dei lemmi francesi. Non era tuttavia soddisfatto del risultato ottenuto, poiché il linguaggio dell'opera era ancora troppo debitore delle proprie origini lombarde, e quindi artificioso. Nello stesso 1827, si recò a Firenze, per "risciacquare – come disse – i panni in Arno" e sottoporre il romanzo ad un'ulteriore e più accurata revisione linguistica, affrancandola dal dialetto toscano in generale, e rendendola aderente al dialetto fiorentino, visto ancor più adatto al realismo che si prefiggeva. Una scelta destinata ad incidere profondamente nella nascita dell'italiano standard del neonato Regno d'Italia, grazie alla relazione che il Manzoni stesso inviò, nel 1868, al ministro per l'istruzione Broglio per l'insegnamento dell'italiano nelle scuole statali. Il romanzo manzoniano presenta varie analogie, ma anche evidenti differenze, con il romanzo storico dello scozzese Walter Scott, Ivanhoe, ambientata nel Medioevo inglese sullo sfondo delle lotte e della successiva unione tra i normanni invasori e le popolazioni preesistenti, in primo luogo i sassoni. Manzoni, che non conosceva l'inglese, durante il soggiorno parigino del 1818-1820 poté leggere il capolavoro di Scott in un'edizione francese. Una volta ritornato a Milano lo scrittore, dalla sua villa di Brusuglio si fece inviare attraverso il direttore della Biblioteca di Brera Gaetano Cattaneo, gli altri romanzi di Scott tradotti in francese (La sposa di Lammermoor, Il Monastero, Waverly e altri). Il filo rosso conduttore tra lo scrittore scozzese e Manzoni si riscontra sul piano prettamente storico (anche se Manzoni critica le eccessive libertà creative di Scott, sottolineandone la diseguale fedeltà alle fonti) e sulle riscostruzioni paesaggistiche, mentre il Nostro si disinteressa dell'avvicendarsi dei fatti avventurosi che rendono veloce e spigliata la trama dell'Ivanhoe, trama che richiama le antiche epopee cavalleresche del ciclo arturiano e dell'Orlando Furioso dell'Ariosto. I personaggi di Ivanhoe non rispecchiano quella complessità d'anima, quel «guazzabuglio del cuore umano» che invece caratterizzano così fortemente i personaggi de I promessi sposi, costantemente immersi in un dinamismo storico realistico che sembra essere molto distante dal mondo fantastico dell'Inghilterra medioevale dipinta da Scott. Dipoi, se nell'opera manzoniana c'è un forte interesse "civile", inteso a fornire, tramite il romanzo, un'unità linguistica e delle solide basi morali ai lettori, in quella dello Scott tale dimensione è totalmente assente, in quanto indirizzata maggiormente al divertimento dei lettori che al formarli secondo precise intenzioni civico-pedagogiche. Tra i modelli che Manzoni alfine usufruì si ritrovano Laurence Sterne (1713-1768) e i romanzi gotici, quali Il castello di Otranto di Horace Walpole nella parte relativa al Castello dell'Innominato e, più esplicitamente, nel legame che unisce il cappuccino manzoniano al frate francescano descritto nel Viaggio sentimentale di Yorik. Il romanzo manzoniano rientra, dunque, all'interno del genere del romanzo storico, impresa assai ardua in Italia dove, a causa della mancanza di unità linguistica e della conseguente inesistenza di modelli (se si eccettuano i romanzi barocchi, completamente distanti dall'obiettivo della temperie romantica), di romanzi nel senso moderno del termine non erano stati scritti neppure uno. L'esigenza di passare dalla tragedia al romanzo storico (quello che poi Manzoni definirà come una «mistura di storia e invenzione») risiedeva in un'esigenza, di primo luogo, morale per la risoluzione di quello che Angelo Stella ha definito «pessimismo cristiano», ovvero della necessità di far vincere in questo mondo a dei personaggi di fantasia le sfide della storia, elemento che non poteva essere accolto nella veridicità storica delle tragedie, ove la rivincita poteva avvenire solo nell'aldilà. Inoltre, il genere del romanzo permetteva al narratore di far prevalere la parte del vero poetico rispetto al vero storico, come delucidato da Gino Tellini: «Il punto fondamentale è che con il romanzo si ribalta il rapporto tra "storia" e "invenzione" così come si presentava nel teatro. Le tragedie portano in primo piano fatti e protagonisti reali, mentre all'invenzione spettano le comparse e lo scavo entro la coscienza degli eroi. Ora invece in primo piano si accampano fatti e protagonisti fantastici, mentre al vero storico si affidano le figure collaterali, la minuta filigrana degli accadimenti collettivi, del colore locale, dell'ambiente, dei costumi.» La scelta degli "umili" quali protagonisti dell'intera storia, attorniati dai "grandi" che entrano ed escono dalle loro vite, fu una scelta maturata non solo dalla temperie romantica che si stava facendo sentire anche a Milano con l'attività di scrittori quali Carlo Porta e Ludovico di Breme, ma soprattutto grazie all'incontro che Manzoni fece con lo storico e idéologue Augustin Thierry a Parigi nel suo secondo soggiorno del 1819-1820. Il Thierry, sostenitore dell'ideale borghese e patrocinatore di una storia in cui i protagonisti non sono i grandi, ma gli oppressi, gettò il seme nel cuore di Manzoni nel redigere una storia che avesse al centro non gli eroi secondo i prototipi della tradizione letteraria, ma semmai dei veri e propri "antieroi". Benché sia considerato il modello per eccellenza del romanzo storico italiano, in realtà l'opera va ben oltre i ristretti limiti di tale genere letterario: Manzoni infatti, attraverso la ricostruzione dell'Italia del Seicento, non tratteggia soltanto un grande affresco storico, ma prefigura degli evidenti parallelismi con i processi storici di cui era testimone nel suo tempo, non limitandosi a indagare il passato; bensì, riflettendo su costanti umane – di carattere culturale, psicologico, spirituale, sociale e politico – l'autore traccia anche un'idea ben precisa del senso della storia, oltre che del rapporto che il singolo ha con gli eventi storici che lo coinvolgono. Davanti a questo rigoroso spirito d'osservazione della realtà che circonda le vicende dei protagonisti, I promessi sposi si possono ritenere un romanzo che apre la via alla corrente del realismo italiano: la descrizione dettagliata nei minuti resoconti storici delle digressioni; l'analisi psicologica e fisica dei singoli personaggi - personaggi non più solo appartenenti alla grande storia, ma anche agli umili - l'attenzione verso una realtà non più mitizzata e idealizzata come nella produzione romantica inglese o tedesca, ma inserita nella quotidianità del Seicento sono indizi che apriranno, in un certo modo, la strada al verismo verghiano. Eurialo de Michelis, nel capitolo Preliminari ai "Promessi Sposi", conferma il tono profondamente realistico che il romanzo assume anche per la stessa natura del Manzoni, e non solo per esigenze estetiche: «Tale il clima di antiromantica serietà e concretezza, entro cui quella che fu in genere la poetica del romanzo storico, comune a larghe zone del romanticismo europeo, si approfondisce a poetica di lui in proprio, il Manzoni; con uno scrupolo del vero, il vero della Storia e il vero dell'agire degli uomini, che in lui è ben più che ricetta buona a far arte, è interezza e serietà interiore, norma del vivere.»
È allo stesso tempo romanzo di formazione, sulla scia già tracciata dai Bildungsroman tedeschi quali il Wilhelm Meister di Goethe: si veda in particolare il percorso umano di Renzo, da ingenuo contadino ad abile – troppo – attivista politico fino ad accorto e saggio nei confronti delle insidie del mondo, ma per alcune ambientazioni e vicende presenti (la monaca di Monza, il rapimento di Lucia segregata poi nel castello dell'Innominato), ha anche caratteristiche che lo possono accomunare ai romanzi gotici sette-ottocenteschi