Ultime lettere di Jacopo Ortis è un romanzo di Ugo Foscolo, considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana, nel quale sono raccolte le 67 lettere che il protagonista, Jacopo Ortis, mandò all'amico Lorenzo Alderani, che dopo il suicidio di Jacopo le avrebbe date alla stampa corredandole di una presentazione e di una conclusione. Vagamente ispirato ad un fatto reale, e al modello letterario de I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe, l'opera risente molto dell'influsso di Vittorio Alfieri, al punto da essere definito "tragedia alfieriana in prosa".
La vicenda trae origine dal suicidio di Girolamo Ortis, uno studente universitario nato a Vito d'Asio (Pordenone) il 13 maggio 1773 e morto il 29 marzo 1796. Foscolo mutò il nome di Girolamo in Jacopo, in onore di Jean-Jacques Rousseau. Nel paese nativo esiste tuttora la casa del giovane, ristrutturata dagli eredi a seguito del terremoto del Friuli del 6 maggio 1976.
Nel 1796 Foscolo redasse un Piano di Studj (insieme di opere lette o da leggersi, composte o da comporsi), in cui, tra le Prose originali, indicava un Laura, lettere, e aggiungeva: « Questo libro non è interamente compiuto, ma l'autore è costretto a dargli l'ultima mano quando anche ei nol volesse ». Una parte della critica ha ravvisato in quest'opera il nucleo originario del futuro romanzo, e tradizionalmente identificato in Isabella Teotochi Albrizzi la "Laura" del titolo.
Nel settembre 1798, quando si trovava a Bologna, Foscolo iniziò la pubblicazione del libro, affidandolo all'editore Marsigli, ma il 21 aprile 1799, a causa della guerra contro gli Austro-russi, lasciò la città per arruolarsi nella Guardia Nazionale mobile di Bologna. La pubblicazione si interruppe così alla quarantacinquesima lettera (queste prime epistole vanno dal 3 settembre 1797 al maggio 1798), ma l'editore volle che l'opera venisse completata e la affidò al bolognese Angelo Sassoli facendola poi pubblicare nel 1799 e ad insaputa dell'autore, prima con il titolo di Ultime lettere di Jacopo Ortis, poi con quello di Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Una lunga tradizione critica ha attribuito a Sassoli la stesura della seconda parte dell'opera, ma Mario Martelli ha ipotizzato che Foscolo avesse già consegnato, prima della sua partenza, il resto del manoscritto (completo o quasi) a Marsigli, sicché Sassoli avrebbe lavorato su un materiale preesistente, rielaborandolo pesantemente per accentuarne il carattere amoroso - assecondando così il gusto del pubblico - e sminuirne quello politico, dal momento che un primo tentativo di edizione del giugno 1799 (già verosimilmente rielaborato rispetto al presunto originale foscoliano), in cui il romanzo aveva come titolo Ultime lettere di Jacopo Ortis e recava nel frontespizio la data del 1798, fu respinto dalla censura. Non furono sufficienti le Annotazioni poste a conclusione del libro, scritte per rendere l'opera ben accetta agli Austriaci, entrati a Bologna il 30 giugno.L'editore corse ai ripari modificando il testo, che uscì con un nuovo titolo, Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis, e una divisione in due volumi.Furono espunte le parti più spiccatamente giacobine e anticlericali, le Annotazioni furono ampliate e inserite in entrambi i tomi. La nuova versione dell'opera uscì forse in agosto, senza riscuotere grande successo.
Vittoriosi a Marengo il 14 giugno 1800, i Francesi ripresero possesso della città. Marsigli operò un nuovo voltafaccia: recuperò il testo del primo Ortis, lasciando però immutato il nuovo titolo, la divisione in due volumi, le Annotazioni e gli avvisi al lettore. In questo modo poteva guadagnarsi « meriti rivoluzionari retrospettivi », edulcorando al contempo il messaggio del romanzo in un contesto ormai contraddistinto dall'egemonia napoleonica. Il Monitore Bolognese, giornale dello stesso Marsigli e al quale Foscolo aveva collaborato in precedenza, annunciò il 5 luglio la nuova edizione. Il successo arrise all'opera, ristampata poi con la data del 1801 e il recupero di un paragrafo, « nell'appello di Lorenzo al lettore [...], soppresso in tutte le altre edizioni della Vera Storia ».
Tornando sulla prima edizione felsinea, Martelli ha mostrato la sostanziale paternità foscoliana di tutto il romanzo, introducendo questa linea di pensiero nella critica successiva. Quando Foscolo venne a sapere dell'operazione editoriale compiuta a sua insaputa, intervenne con veemenza sulla Gazzetta universale di Firenze del 3 gennaio 1801:
«[...] Corrono delle ultime lettere di Jacopo Ortis tre edizioni: la più antica in due tometti fu impressa in Bologna [...]. Perché oltre il nome dell'Ortis vi è posto in fronte il mio ritratto, quasi io fossi l'editore, e l'inventore di que' vituperj, io dichiaro solennemente queste edizioni apocrife tutte, e adulterate dalla viltà e dalla fame. Vero è, che io erede de' libri dell'Ortis, e depositario delle lettere da lui scrittemi nei giorni ne' quali la sua trista filosofia, le sue passioni, e più di tutto la sua indole lo trassero ad ammazzarsi, ne impresi l'edizione [...]. Se non che più fieri casi m'interruppero quest'edizione abbandonata a uno Stampatore, il quale reputandola romanzo la fè continuare da un prezzolato, che convertì le lettere calde, originali, Italiane dell'Ortis in un centone di follie romanzesche, di frasi sdolcinate e di annotazioni vigliacche. [...] Onde fino a che mi concedano i tempi di riprendere la stampa dell'autografo delle Ultime lettere di Jacopo Ortis io protesto apocrife e contaminate in ogni loro parte quelle che saranno anteriori al 1801, e che non avranno in fronte questo rifiuto.»
Foscolo rimise mano all'opera modificandone profondamente la trama - che divenne quella definitiva e poi comunemente conosciuta - e la pubblicò l'anno successivo a Milano, a sue spese, presso i tipi del Genio Tipografico. Questa edizione, su cui si basano tutte quelle successive, è la prima ad essere stata autorizzata da Foscolo. In seguito il romanzo veniva stampato a Zurigo nel 1816 (recando la falsa data di Londra, 1814),con l'aggiunta di una lettera polemica — quella del 17 marzo — contro Napoleone, la soppressione dell'unica epistola diretta a un destinatario altro da Lorenzo (era inviata a Teresa), alcune modifiche di stile, e l'introduzione di una interessante "Notizia bibliografica", in cui Foscolo «definisce i rapporti tra il proprio romanzo e il Werther». L'opera fu ripubblicata a Londra nel 1817. Il romanzo si ispira alla doppia delusione avuta da Foscolo nell'amore per Isabella Roncioni che gli fu impossibile sposare e per la patria, ceduta da Napoleone all'Austria in seguito al Trattato di Campoformio. Il romanzo ha, quindi, chiari riferimenti autobiografici. Nella forma e nei contenuti è molto simile a I dolori del giovane Werther di Goethe (anche se a tratti richiama la Nuova Eloisa di Jean-Jacques Rousseau); per questo motivo alcuni critici hanno addirittura definito il romanzo una brutta imitazione del Werther. Tuttavia, la presenza del tema politico, assai evidente nell'Ortis e appena accennato nel Werther segna una differenza rilevante tra i due libri. Inoltre si avvertono la presenza dell'ispirazione eroica di Vittorio Alfieri e l'impegno civile e politico del poeta in quegli anni. Jacopo Ortis è uno studente universitario veneto di passione repubblicana, il cui nome è nelle liste di proscrizione. Dopo aver assistito al sacrificio della sua patria si ritira, triste e inconsolabile, sui colli Euganei, dove vive in solitudine. Passa il tempo leggendo Plutarco, scrivendo al suo amico, trattenendosi a volte con il sacerdote curato, con il medico e con altre brave persone. Jacopo conosce il signor T., le figlie Teresa e Isabellina, e Odoardo, che è il promesso sposo di Teresa, e comincia a frequentare la loro casa. È questa, per Jacopo, una delle poche consolazioni, sempre tormentato dal pensiero della sua patria schiava e infelice. In un giorno di festa aiuta i contadini a trapiantare i pini sul monte, commosso e pieno di malinconia, un altro giorno con Teresa e i suoi visita la casa del Petrarca ad Arquà. I giorni trascorrono e Jacopo sente che il suo amore impossibile per Teresa diventa sempre più grande. Jacopo viene a sapere dalla stessa Teresa che essa è infelice perché non ama Odoardo, al quale il padre l'ha promessa in sposa per questioni economiche, nonostante l'opposizione della madre che ha perciò abbandonato la famiglia. Ai primi di dicembre Jacopo si reca a Padova, dove si è riaperta l'Università. Conosce le dame del bel mondo, trova i falsi amici, s'annoia, si tormenta e, dopo due mesi, ritorna da Teresa. Odoardo è partito ed egli riprende i dolci colloqui con Teresa e sente che solo lei, se lo potesse sposare, potrebbe dargli la felicità. Ma il destino ha scritto: "l'uomo sarà infelice" e questo Jacopo ripete tracciando la storia di Lauretta, una fanciulla infelice, nelle cui braccia è morto il fidanzato ed i genitori della quale sono dovuti fuggire dalla patria. I giorni passano nella contemplazione degli spettacoli della natura e nell'amore per Jacopo e Teresa, i quali si baceranno per la prima e unica volta in tutto il romanzo. Egli sente che lontano da lei è come essere in una tomba e invoca l'aiuto della divinità. Si ammala e, al padre di Teresa che lo va a trovare, rivela il suo amore per la figlia. Appena può lasciare il letto scrive una lettera d'addio a Teresa e parte. Si reca a Ferrara, Bologna e Firenze. Qui visita i sepolcri dei "grandi" a Santa Croce. Poi, portando sempre con sé l'immagine di Teresa e sentendosi sempre più infelice e disperato, viaggia fino a Milano dove incontra Giuseppe Parini. Vorrebbe fare qualcosa per la sua infelice patria, ma Giuseppe Parini in un ardente colloquio lo dissuade da inutili atti d'audacia, affermando che solo in futuro e con il sangue si potrà riscattare la Patria, ma chi lo farà rischierà a sua volta di divenire un tiranno; anche uccidere il tiranno è divenuto però inutile, benché il popolo possa sperare ormai solo in questo. Inquieto e senza pace decide di andare in Francia ma, arrivato a Nizza si pente e ritorna indietro. Quando viene a conoscenza che Teresa si è sposata sente che per lui la vita non ha più senso. Ritorna ai colli Euganei per rivedere Teresa, va a Venezia per riabbracciare la madre, poi ancora ai colli e qui, dopo aver scritto una lettera a Teresa e l'ultima all'amico Lorenzo Alderani, si uccide, piantandosi un pugnale nel cuore. Segue una spiegazione finale di Lorenzo sul destino di Jacopo, come quella iniziale.