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Libro

Italiano III

 
lll Decameron, o Decamerone (parola composta dal greco antico: δέκα, déka, «dieci» e ἡμερῶν, hēmern, genitivo plurale di ἡμέρα, hēméra, "giorno", letteralmente "di dieci giorni", nel senso di "[opera] di dieci giorni"), è una raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo, probabilmente tra il 1349 (anno successivo alla peste nera in Europa) e il 1351 (secondo la tesi di Vittore Branca) o il 1353 (secondo la tesi di Giuseppe Billanovich). Anche se il primo a capire che si trattava di un testo autografo fu Alberto Chiari, Vittore Branca nel 1962 dimostrò come il codice Hamilton 90, conservato a Berlino, fosse un prezioso autografo risalente agli ultimi anni di vita del Boccaccio. È considerata una delle opere più importanti della letteratura del Trecento europeo, durante il quale esercitò una vasta influenza sulle opere di altri autori (si pensi ai Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer), oltre che la capostipite della letteratura in prosa in volgare italiano. Boccaccio nel Decameron raffigura l'intera società del tempo, integrando l'ideale di vita aristocratico, basato sull'amor cortese, la magnanimità, la liberalità, con i valori della mercatura: l'intelligenza, l'intraprendenza, l'astuzia. Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava nella città, e che a turno si raccontano delle novelle di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami all'erotismo bucolico del tempo. Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di scandalo, e fu in molte epoche censurato o comunque non adeguatamente considerato nella storia della letteratura. Il Decameron fu anche ripreso in versione cinematografica da diversi registi, tra cui Pier Paolo Pasolini e i fratelli Taviani.
Decameron deriva dal greco e letteralmente significa "di dieci giorni". Il titolo è un rimando all'Exameron ("di sei giorni") di Sant'Ambrogio, una riformulazione in versi del racconto biblico della Genesi. Il titolo in greco è anche sintomo dell'entusiastica riscoperta dei classici commedici e tragici ellenici non filtrati in Latino prima dalla Roma imperiale e poi da quella cristiana. L'intenzione di Boccaccio è costruire un'analogia tra la propria opera e quella di Sant'Ambrogio: come il santo narra la creazione del mondo e dell'umanità, allo stesso modo il Decameron narra la ricreazione dell'umanità, che avviene per mezzo dei dieci protagonisti e del loro novellare, in seguito al flagello della peste abbattutasi a Firenze nel 1348.
A mano a mano che si susseguono i racconti dei protagonisti, tramite essi vengono ricostruiti l'immagine, le strutture relazionali e i valori dell'umanità e della società che altrimenti sarebbero perduti, dal momento che la città è sotto l'effetto distruttivo e paralizzante della peste. Si tratta di una metafora importante, in quanto esprime la concezione preumanistica di Boccaccio nella quale le humanae litterae (qui rappresentate dalle cento novelle) hanno la facoltà di rifondare un mondo distrutto e corrotto. In particolare, è notevole la capacità del Boccaccio di passare dal sublime al triviale e viceversa senza soluzione di continuità, pur mantenendo costante la sua estrema avversità rispetto alle aberrazioni e ai soprusi.
Rilevante è l'introduzione del Decameron:


«Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini.»

 

L'opera è cognominata (ossia sottotitolata) Prencipe Galeotto, con riferimento a un personaggio, Galeuth o Galehaut, del ciclo bretone del romanzo cortese che fece da intermediario d'amore tra Lancillotto e Ginevra. "Galeotto" inoltre riecheggia un famoso verso, riferito allo stesso personaggio, del V canto dell'Inferno di Dante Alighieri, Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse, verso con cui Francesca termina il suo racconto.
A margine va annotato che il tempo effettivo trascorso fuori città dai giovani è di quattordici giorni, poiché il venerdì è dedicato alla preghiera e il sabato alla cura personale delle donne.
All'interno del Decameron, Boccaccio immagina come, durante il periodo in cui la peste devasta Firenze (1348), una brigata di sette ragazze e tre ragazzi, tutti di elevata condizione sociale, decidano di cercare una possibilità di fuga dal contagio spostandosi in campagna. Qui questi dieci giovani trascorrono il tempo secondo precise regole, tra canti, balli e giochi. Notevole importanza, come vedremo dopo, assumono anche le preghiere.
Per occupare le prime ore pomeridiane, i ragazzi decidono di raccontare una novella ciascuno, tranne il venerdì ed il sabato, secondo precisi rituali: per esempio, l'elezione quotidiana di un re che fisserà il tema della giornata a cui tutti gli altri narratori dovranno ispirarsi nei loro racconti. Al solo Dioneo, per la sua giovane età, è concesso di non rispettare il tema delle giornate; dovrà però novellare sempre per ultimo (Privilegio di Dioneo). La prima e la nona giornata hanno un tema libero.
Si sono date molteplici interpretazioni degli strani nomi attribuiti ai narratori, in gran parte riecheggianti etimologie greche: Pampinea ("la rigogliosa"), Filomena ("amante del canto", oppure "colei che è amata"), Neifile ("nuova amante"), Filostrato ("vinto d'amore"), Fiammetta (la donna amata da Boccaccio), Elissa (l'altro nome di Didone, la regina dell'Eneidedi Virgilio), Dioneo ("lussurioso", da Diona, madre di Venere; spurcissimus dyoneus si definiva Boccaccio in una lettera giovanile), Lauretta (come Laura de Noves, la donna simbolo di Petrarca), Emilia e Panfilo (il "Tutto Amore", che infatti racconterà spesso novelle ad alto contenuto erotico).
Nel Decameron le cento novelle, pur avendo spesso in comune il tema, sono diversissime l'una dall'altra, poiché l'autore vuol rappresentare la vita di tutti i giorni nella sua grande varietà di tipi umani, di atteggiamenti morali e psicologici, di virtù e di vizio; ne deriva che il Decameron offre una straordinaria panoramica della civiltà del Trecento: in quest'epoca l'uomo borghese cercava di creare un rapporto fra l'armonia, la realtà del profitto e gli ideali della nobiltà cavalleresca ormai finita.
Come scritto nella conclusione dell'opera, i temi che Boccaccio voleva illustrare al popolo sono essenzialmente due. In primo luogo, infatti, Boccaccio voleva mostrare ai fiorentini che è possibile rialzarsi da qualunque disgrazia si venga colpiti, proprio come fanno i dieci giovani con la peste che si abbatte in quel periodo sulla città. Il secondo tema, invece, è legato al rispetto e ai riguardi di Boccaccio nei confronti delle donne: egli infatti scrive che quest'opera è dedicata a loro che, a quel tempo, erano le persone che leggevano maggiormente e avevano più tempo per dedicarsi alla lettura delle sue opere. Riguardo alla struttura complessiva dell'opera, sono state formulate numerose interpretazioni. Tra queste segnaliamo quella del filologo Vittore Branca, che ipotizzò una struttura ascensionale dell'opera, in cui vengono contrapposti l'esempio negativo fornito da ser Ciappelletto, protagonista della prima novella della prima giornata, con quello positivo fornito da Griselda, personaggio dell'ultima novella dell'opera (e in generale dai protagonisti di tutta la decima giornata, in cui si trattano esempi di liberalità e magnificenza). Altri italianisti, quali Alberto Asor Rosa, hanno ipotizzato una strutturazione del Decameron per "grappoli tematici", formati da più giornate caratterizzate da tematiche simili. Infine, il critico Ferdinando Neri tentò di dividere l'opera in due parti di cinque giornate ciascuna, a cui la Prima e la Sesta giornata fungono da introduzione.
Il libro si apre con un proemio che delinea i motivi della stesura dell'opera. Boccaccio afferma che il libro è dedicato a coloro che sono afflitti da pene d'amore, allo scopo di dilettarli con piacevoli racconti e dare loro utili consigli. L'autore specifica poi che l'opera è rivolta in particolare ad un pubblico di donne e più precisamente a quelle che amano . Il destinatario dell'opera è la borghesia cittadina, che si contrappone all'istituto della corte, sviluppatosi soprattutto in Francia. Dunque la novella, essendo caratterizzata da uno stile semplice, breve e immediato, tende ad interfacciarsi con il nuovo ceto sociale, la borghesia laica, benestante e acculturata di cui Boccaccio è espressione.
Sempre nel proemio, Boccaccio racconta di rivolgersi alle donne per rimediare al peccato della Fortuna: le donne possono trovare poche distrazioni dalle pene d'amore rispetto agli uomini. Alle donne, infatti, a causa delle usanze del tempo, erano preclusi certi svaghi che agli uomini erano concessi, come la caccia, il gioco, il commerciare; tutte attività che possono occupare l'esistenza dell'uomo. Quindi nelle novelle le donne potranno trovare diletto e utili soluzioni che allevieranno le loro sofferenze. Sin dal proemio, il tema dell'amore mostra la propria importanza: in effetti gran parte delle novelle tocca questa tematica, che assume anche forme licenziose e che susciterà reazioni negative da parte di un pubblico retrivo; per questo motivo Boccaccio, nell'introduzione alla IV giornata e nella conclusione all'opera, rivendicherà il suo diritto ad una letteratura libera ed ispirata ad una concezione naturalistica dell'Eros (significativo in questo senso il cosiddetto "apologo delle papere", inizio della IV giornata).
L'uso della cornice narrativa in cui inserire le novelle è di origine indiana. Tale struttura passò poi nella letteratura araba e in Occidente. La cornice è costituita da tutto ciò che si trova al di fuori delle novelle ed in modo particolare dalla Firenze contaminata dalla peste dove un gruppo di dieci giovani, di elevata condizione sociale, decide di ritirarsi in campagna per trovare scampo dal contagio. È per questo che Boccaccio all'inizio dell'opera fa una lunga e dettagliata descrizione della malattia che colpì Firenze nel 1348 (ispirata quasi interamente a conoscenze personali ma anche all'Historia Langobardorum di Paolo Diacono); oltre a decimare la popolazione, l'epidemia distrusse tutte quelle norme sociali, quegli usi e quei costumi che gli erano cari. Al contrario, i giovani creano una sorta di realtà parallela quasi perfetta per dimostrare come l'uomo, grazie all'aiuto delle proprie forze e della propria intelligenza, sia in grado di dare un ordine alle cose, che poi sarà uno dei temi fondamentali dell'Umanesimo. In contrapposizione al mondo uniforme di questi giovani si pongono poi le novelle, che hanno vita autonoma: la realtà descritta è soprattutto quella mercantile e borghese; viene rappresentata l'eterogeneità del mondo e la nostalgia verso quei valori cortesi che via via stanno per essere distrutti per sempre; i protagonisti sono moltissimi ma hanno tutti in comune la determinazione di volersi realizzare per mezzo delle proprie forze. Tutto ciò fa del Decameron un'opera unica, poiché non si tratta di una semplice raccolta di novelle: queste ultime sono tutte collegate fra di loro attraverso la cornice narrativa, formando una sorta di romanzo. La concezione della vita morale nel Decameron si basa sul contrasto tra Fortuna e Natura, le due ministre del mondo (VI,2,6). L'uomo si definisce in base a queste due forze: una esterna, la Fortuna (che lo condiziona ma che egli può volgere a proprio favore), l'altra interna, la Natura, con istinti e appetiti che deve riconoscere con intelligenza. La Fortuna nelle novelle appare spesso come evento inaspettato che sconvolge le vicende, mentre la Natura si presenta come forza primordiale la cui espressione prima è l'Amore come sentimento invincibile che domina insieme l'anima e i sensi, che sa ugualmente essere pienezza gioiosa di vita e di morte.
L'amore per Boccaccio è una forza insopprimibile, motivo di diletto ma anche di dolore, che agisce nei più diversi strati sociali e per questo spesso si scontra con pregiudizi culturali e di costume. La virtù in questo contesto non è mortificazione dell'istinto, bensì capacità di appagare e dominare gli impulsi naturali. Nel Decameron il tema della follia compare a più riprese e si intreccia con altre tematiche, come quella della beffa e quella della follia per amore, per la quale uno dei due amanti giunge fino alla morte. Durante tutta la IV giornata vengono narrate novelle che trattano di amori che ebbero infelice fine: si tratta di storie in cui la morte di uno degli amanti è inevitabile perché le leggi della Fortuna trionfano su quelle naturali dell'Amore. All'interno della giornata, le novelle 3, 4 e 5 rappresentano un trittico che illustra in modi diversi l'amore come follia. L'elemento che le accomuna è la presenza della Fortuna coniugata come diversità di condizione sociale: prevale infatti la tematica dell'amore che travalica le leggi della casta e del matrimonio, che diventa una follia sociale e motivo di scandalo.
Un esempio è costituito dalla 5ª novella della IV giornata, ovvero la storia di Lisabetta da Messina e il vaso di basilico. In questa novella si sviluppa il contrasto Amore/Fortuna: Lorenzo è un semplice garzone di bottega, bello e gentile, con tutte le qualità cortesi per suscitare l'amore; Lisabetta, che appartiene a una famiglia di mercanti originaria di San Gimignano, incarna l'energia eroica di chi resiste all' avversa fortuna solo con la forza del silenzio e del pianto; i tre fratelli sono i garanti dell'onore della famiglia, non tollerano la relazione della sorella con qualcuno di rango inferiore. Sono costretti ad intervenire per riportare le cose in ordine e per ristabilire l'equilibrio sovvertito dalla pazzia amorosa di Lisabetta. Lisabetta è un esempio di amore dagli aspetti tragici ed elegiaci e nell'opera di Boccaccio sono presenti altre figure femminili tragiche in cui lo scrittore vede realizzarsi pienezza di vita ed intelligenza che egli chiama "grandezza d'animo".
Ad esempio si possono menzionare la moglie di Guglielmo Rossiglione (IV, 9), la quale, costretta dal marito a mangiare il cuore del suo amante, si uccide gettandosi da una finestra del castello, oppure Ghismonda di Salerno (IV, 1) che, uccisole dal padre il giovane valletto di cui si era innamorata, si uccide stoicamente. Boccaccio affronta il tema dell'Amore mostrando con perfezione il gioco degli istinti e dei sentimenti, senza compiacimenti per la materia sessuale, fornendo invece esempi in cui l'Amore cozza contro il Caso o le leggi delle convenzioni sociali.
Mentre per Dante la Fortuna è una intelligenza angelica che agisce nell'àmbito di un progetto divino (Inferno - Canto settimo,76-96), la Fortuna presente nel Decameron è il "caso". L'opera boccacciana non è ascetica ma laica, svincolata dal teocentrismo che invece sta alla base della Divina Commedia di Dante e della mentalità medievale della quale il Decameron rappresenta l'"autunno". L'Ingegno umano è un altro motivo ricorrente. Troviamo il gusto della beffa (Chichibio, VI, 4), la spregiudicatezza empia di Ciappelletto (I, 1), la dabbenaggine di Andreuccio da Perugia (II, 5) e Calandrino, l'arguzia e l'imbroglio (Frate Cipolla, VI, 10), gli aspetti maliziosi e ridanciani (racconto delle monache e della badessa, novella del giudice marchigiano beffato).
Incontriamo anche l'arguzia gentile di Cisti fornaio (VI, 2), l'intelligenza pronta di Melchisedech (I, 3) e l'ingegno di Giotto (VI, 5), la signorilità venata di arguzia e di bizzarria del brigante Ghino di Tacco (X, 2). Due giornate sono consacrate ai motti, cioè alla prontezza dello spirito, quattro sono dedicate alle astuzie di ogni genere, volte a conquistare l'amore o a vendicarlo o a beffare l'intelligenza altrui, o, soprattutto, a trarsi d'impaccio, mediante l'immediata intuizione, dalle situazioni più difficili e strane.
L'opera presenta una duplice "anima". La prima è realistica, riflette la mentalità e la cultura della classe borghese-mercantile ("epopea mercantile" Vittore Branca ha definito l'opera). La seconda è aristocratica ed in essa sono presenti le virtù cavalleresche proprie dell'aristocrazia feudale, del mondo cortese-cavalleresco: cortesia, magnanimità, munificenza, lealtà, virtù umana fino al sacrificio (novelle della decima giornata; novella di Federigo degli Alberighi). Federigo degli Alberighi (V, 9) è un insigne esempio di dignità cavalleresca, mentre tra le novelle dell'ultima giornata emergono la magnanima cortesia di Natan (X, 39), la saggezza malinconica di re Carlo (X, 6), la virtù di Griselda(X; 10). Scrive Vittore Branca: " È un'epopea (cioè un'interpretazione al di là degli eventi) di quell'età in cui la vita cavalleresca e feudale si incontrava splendidamente con quella pulsante e fervida delle compagnie e delle arti e la grandiosa architettura dell'impero andava mirabilmente frangendosi nel molteplice e ricco mosaico dei regni, dei principati, dei comuni. [....] Accanto al mondo solenne e dorato dei re e dei cavalieri, il Boccaccio pone senza alcuna esitazione la società operosa e avventurosa degli uomini della sua età".
È scomparso il Medioevo mistico e idealizzante e al suo posto è presente la vita terrena riscoperta con un senso di gioia e di prorompente vitalità, un intenso interesse per tutte quelle manifestazioni che legano l'uomo all'esistenza, intesa non solo sotto il profilo materiale ma anche spirituale, pur nell'assenza di preoccupazioni morali e religiose. Il Decameron si conclude con una giornata in cui domina appunto il motivo della virtù, seguendo quindi una parabola morale ascendente secondo lo schema della poetica medievale. Si tratta di un percorso riscontrabile anche nella Commedia di Dante e nel Canzoniere di Petrarca, dove però è presente il motivo religioso e teologico che invece manca nelle virtù terrene del laico Boccaccio. Nella Commedia dantesca si va dalla condizione di peccato alla beatitudine celeste, nel Canzoniere dall'idea di peccato e di traviamento del primo sonetto alla conclusiva canzone alla Vergine (Vergine bella).
Oltre ai temi principali esposti ampiamente nell'opera, è possibile distinguere anche altri contenuti, meno argomentati, ma non per tale motivo da considerarsi di poco conto. Uno di questi è il tema dell'individualità. Con questo termine si indica il complesso di qualità che caratterizza l'individuo e lo distingue dagli altri membri della stessa società, in quanto capace di agire e di pensare secondo modalità proprie e non conformate alle altrui. Infatti nelle varie novelle c'è spesso una figura di riferimento che sembra assumere un ruolo primario nella svolta della vicenda; essa contribuisce, attraverso i propri sentimenti, azioni, impulsi, ragionamenti, a modificare la scena. Inoltre tale personaggio è pronto alle conseguenze derivanti dai propri comportamenti, delle quali si assume, seppur con qualche eccezione, la piena responsabilità.
Le sue decisioni, sbagliate o giuste che siano, spesso si estendono alla folla, che, in contrapposizione, si rivela essere facilmente adulabile dall'individuo singolo. La massanon detiene, infatti, capacità di decisione propria nei vari ambiti, accetta semplicemente ciò che è proposto per quanto assurdo possa sembrare; assiste talvolta alle scelte della figura di riferimento senza però esprimere la propria idea. Boccaccio sembra configurare gli appartenenti ai gruppi sociali più elevati nella veste di personaggio individuale, mentre identifica la classe contadina nella folla priva di carattere. Diversi sono gli esempi inerenti a tale affermazione:
in Ser Ciappelletto (giornata I, novella 1) il protagonista della vicenda assume su di sé le responsabilità per le proprie azioni blasfeme condotte nei confronti della Chiesa cattolica; pur senza essere costretto a compierle, decide di eseguirle. Ciò deriva dal desiderio di espiarei propri peccati in punto di morte al fine di non recare danno alla reputazione dei mercanti fiorentini suoi ospitanti, per una ragione, più che religiosa, di favore tra classi sociali congrue;
in Federigo degli Alberighi (giornata V, novella 9) il personaggio principale rinuncia a tutti i propri averi, anche al simbolo della nobiltà, al fine di conquistare la donna da lui amata. Tali comportamenti andranno a intrecciarsi con i valori appartenenti al ceto aristocratico, quali la dignità e il vizio dello sperpero, e alla mentalità della borghesia nascente, incentrata sull'ascesa economica e sociale;
nella Badessa e le brache del prete (giornata IX, novella 2) le due donne protagoniste della novella agiscono in modo proprio, senza seguire le regole e il pudore imposto dalla comunità. Nonostante questa caratteristica comune, le due procedono per vie differenti: infatti, Isabetta non nega le proprie colpe una volta scoperta, mentre la badessa, non accorgendosi di avere come copricapo un indumento del prete con il quale si era intrattenuta sessualmente e pensando quindi di non essere stata scoperta nel proprio peccato, ammonisce con ipocrisia la monaca colpevole delle sue stesse colpe. A dispetto di ciò, rimane tuttavia l'autonoma decisione nel tradire il voto di castità. Anche in questo caso la novella unisce altre tematiche, quali l'ipocrisia ecclesiastica.
In contrapposizione ai personaggi principali si oppone la folla intesa come gruppo omogeneo, con un'ideologia la quale non è discussa e argomentata dagli appartenenti stessi. Infatti, nella novella Ser Ciappelletto si può notare come sia facile che la massaaccetti di buon grado anche una santificazione prematura e infondata;
nella medesima novella, vi è anche la rappresentazione di un personaggio che rimanda a una categoria più vasta, come nel caso del frate che allude al clero. Tale personaggio è facilmente raggirato da ser Ciappelletto, a simboleggiare un'assoluta mancanza di parametri razionali in un atto così sacro come quello della santificazione; questo grave errore commesso dal frate raffigura l'incapacità dello stesso nel prendere decisioni secondo criteri propri e non seguendo quelli accordati dal mondo ecclesiastico.
Vari aspetti del Decameron anticipano l'Umanesimo quattrocentesco: l'interesse per l'uomo e la vita sociale; l'esaltazione dell'intelligenza e di altre doti umane; l'amore considerato come sentimento naturale; la natura rappresentata come luogo di pace e serenità.
 

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