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Libro

Italiano II [PROGRAMMA]

3. L’EPICA CLASSICA

3.4. L’argomento del poema

 

L'Iliade (in lingua originale `Ιλιάς, Iliás) è un poema epico in esametri dattilici, tradizionalmente attribuito a Omero. Il titolo deriva da `Ίλιον (Īlĭŏn), l'altro nome dell'antica Troia, cittadina dell'Ellesponto (e da non confondere con Ilion nell'Epiro). Ambientato ai tempi della guerra di Troia, narra gli eventi accaduti nei cinquantuno giorni dell'ultimo anno di guerra, in cui l'ira di Achille è l'argomento portante del poema. Opera ciclopica e complessa, è un caposaldo della letteratura greca e occidentale.
Tradizionalmente datata al 750 a.C. circa, Cicerone afferma nel suo De oratore che Pisistrato ne aveva disposto la sistemazione in forma scritta già nel VI secolo a.C., ma si tratta di questione discussa dalla critica. In epoca ellenistica fu codificata da filologi alessandrini guidati da Zenodoto nella prima edizione critica, comprendente 15.696 versi divisi in 24 libri (ciascuno corrispondente a un rotolo, che ne dettava la lunghezza). Ai tempi il testo era infatti estremamente oscillante, visto che la precedente tradizione orale aveva originato numerose varianti. Ciascun libro è contraddistinto da una lettera maiuscola dell'alfabeto greco e riporta in testa un sommario del contenuto.
L'opera venne composta probabilmente nella regione della Ionia Asiatica. La sua composizione seguì un percorso di formazione, attraverso i secoli e i vari cambiamenti politici e socio-culturali, che comprese principalmente tre fasi:
· fase orale, nella quale vari racconti mitici o concernenti racconti eroici incominciarono a circolare in simposi e feste pubbliche durante il Medioevo ellenico (1200- 800 a.C.), rielaborando racconti riguardanti il periodo miceneo;
· fase aurale nella quale i poemi incominciarono ad assumere organicità grazie all'opera di cantori e rapsodi, senza però conoscere una stesura scritta (età arcaica e classica);
· La fase scritta, nella quale i poemi sono stati trascritti. Secondo alcuni storici questa fase risale al VI secolo a.C. durante la tirannide di Pisistrato ad Atene.
· Si sa che il poema era già noto nel VI secolo a.C.; la prima testimonianza sicura è di Pisistrato, tiranno di Atene (561-527 a.C.). Dice infatti Cicerone nel suo De Oratore: primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus("Si dice che Pisistrato per primo avesse ordinato i libri di Omero"). Il primo punto fermo è quindi che nella Grande Biblioteca di Atene di Pisistrato erano contenuti i libri di Omero, ordinati.
· L'oralità non consentì di stabilire delle edizioni canoniche. L'Iliade pisistratea non fu un caso unico: sul modello di Atene ogni città (di sicuro Creta, Cipro, Argo e Massalia, oggi Marsiglia) probabilmente aveva un'edizione locale, detta kata polin. Le varie edizioni kata poleis non erano probabilmente molto discordanti tra di loro.
· Si hanno notizie riguardo edizioni precedenti all'ellenismo, dette polystikoiai, con molti versi; avevano sezioni rapsodiche in più rispetto alla versione pisistratea; varie fonti ne parlano ma non se ne conosce l'origine.
· L'Iliade e l'Odissea erano la base dell'insegnamento elementare: i piccoli greci si avvicinavano alla lettura attraverso i poemi di Omero; molto probabilmente i maestri semplificarono i poemi affinché fossero di più facile comprensione per i bambini.
· Si conosce anche l'esistenza di edizioni kata andra: personaggi illustri si facevano fare edizioni proprie. Un esempio molto famoso è quello di Aristotele, che si fece creare un'edizione dell'Iliade e dell'Odissea (versioni prealessandrine). Si è arrivati, in seguito, a una sorta di testo base attico, una vulgata attica.
· Teagene di Reggio, VI secolo a.C., fu il primo critico e divulgatore dell'Iliade, che fra l'altro pubblicò.
· Gli antichi grammatici alessandrini tra il III e il II secolo a.C. concentrarono il loro lavoro di filologia del testo su Omero, sia perché il materiale era ancora molto confuso, sia perché era universalmente riconosciuto padre della letteratura greca. Molto importante fu un'emendatio (diorthosis) volta a eliminare le varie interpolazioni e a ripulire il poema dai vari versi formulari suppletivi, formule varianti che entravano anche tutte insieme.
· Si arrivò dunque a un testo definitivo. Un contributo fondamentale fu quello di tre grandi filologi, vissuti tra la metà del terzo secolo e la metà del secondo: Zenodoto di Efeso, che elaborò la numerazione alfabetica dei libri e operò una ionizzazione (sostituì gli eolismi con termici ionici), Aristofane di Bisanzio, di cui non ci resta nulla, ma che sappiamo fu un gran commentatore, inserì la prosodia (l'alternarsi di sillabe lunghe e brevi), i segni critici (come la crux, l'obelos) e gli spiriti; Aristarco di Samotracia, che operò una forte e oggi considerata sconveniente atticizzazione - convinto che Omero fosse di Atene - e si occupò di scegliere una lezione per ogni vocabolo dubbio, curandosi però di mettere un obelos con le altre lezioni scartate. Non è ancora chiaro se si basò sull'istinto o comparò vari testi.
· Il testo dell'Iliade giunto all'età contemporanea è piuttosto diverso da quello con le lezioni di Aristarco. Su 874 punti in cui egli scelse una particolare lezione, solo 84 tornano nei nostri testi; per quanto riguarda le parti considerate dubbie dai commentatori antichi, la vulgata alessandrina è quindi uguale alla nostra solo per il 10%. Si può anche ritenere che tale testo non fosse definitivo, ed è possibile che nella stessa biblioteca di Alessandria d'Egitto, dove gli studiosi erano famosi per i loro litigi, ci fossero più versioni dell'Iliade.
Un'invenzione molto importante della biblioteca di Alessandria furono gli scolia, ricchi repertori di osservazioni al testo, note, lezioni, commenti. Dunque i primi studi sul testo furono effettuati tra il III e il II secolo a.C. dagli studiosi alessandrini; poi tra il I secolo e il II secolo d. C. quattro scoliasti redassero gli scolia dell'Iliade, poi compendiati da uno scoliasta successivo nell'opera Commento dei 4. L'Iliade di Omero tuttavia non riuscì a influenzare tutte le zone dove era diffusa: anche in età ellenistica giravano più versioni, probabilmente derivanti dalla vulgata ateniese di Pisistrato del V secolo, che proveniva da varie tradizioni orali e rapsodiche. Intorno alla metà del II secolo, dopo il lavoro di Alessandria, giravano il testo alessandrino e residui di altre versioni. Di certo gli Ellenisti stabilirono il numero e la suddivisione dei versi. Dal 150 a.C. sparirono le altre versioni testuali e si impose un unico testo dell'Iliade; tutti i papiri ritrovati da quella data in poi corrispondono ai nostri manoscritti medievali: la vulgata medievale è la sintesi di tutto.
· L'eroicità è riconosciuta come accento fondamentale del poema, e per Omero "eroico" è tutto ciò che va oltre la norma, nel bene e nel male e per qualunque aspetto. Queste grandezze non sono guardate con occhio stupito, perché il poeta è inserito nel mondo che descrive, e l'eroico è dunque sentito come normalità. L'intera guerra è descritta come un seguito di duelli individuali, raccontati spesso secondo fasi ricorrenti.
L'opera non tratta, come si presumerebbe dal titolo, dell'intera guerra di Ilio (Troia), ma di un singolo episodio di questa guerra, l'ira di Achille, che si svolge in un periodo di 51 giorni. Aristotele lodò Omero nella Poetica, per aver saputo scegliere, nel ricco materiale mitico-storico della guerra di Troia, un episodio particolare, rendendolo centro vitale del poema, e affermò, inoltre, che la poesia non è storia, ma una fecondissima verità teoretica e di fatto.
Lira è un motivo centrale nel poema. L'ira di Achille è determinata dalla sottrazione della schiava Briseide. L'ira gli fa riconquistare l'onore perduto; la parte del bottino razziato in battaglia veniva infatti assegnata al guerriero in proporzione al suo valore e al suo ruolo di combattente. Al tema dell'ira è legato quello della gloria che l'eroe conquista combattendo con valore e che gli permette di perpetuare la propria immagine alle generazioni future.
Gli dei sono antropomorfi, cioè hanno sembianze fisiche e sentimenti umani: si amano e si odiano, tramano inganni; mostrano desiderio, vanità, invidia. Al di sopra di loro sta il Fato ineluttabile (in greco. móira), cioè il Destino. Gli dei intervengono direttamente nelle vicende umane.
Altri motivi presenti sono: il senso del dovere, la vergogna del giudizio negativo e la necessità di proteggere i propri cari.
La prima parola del poema è ira (μήνιν), ossia il motivo guida di tutta gran parte delle vicende dei Greci nella guerra finale. Viene messa in risalto la reazione che scaturisce da un'offesa fatta al prototipo della boria e superpotenza eroica per eccellenza, Achille, essendo privato del bottino di battaglia: Briseide da Agamennone.
L'ira di tale genere rispecchia anche la condizione sociale dei Greci arcaici, ossia quella del sistema feudale e dei possedimenti. Briseide è un vero e proprio bottino di guerra, nonché offre un'immagine di potere del padrone stesso dinanzi ai suoi superiori e alla collettività. Purtuttavia rappresentando questo sistema feudale arcaico, Omero raffigura anche il polo estremo dell'avidità e della boria dell'eroe super potente, che appunto per la sua irrefrenabilità emotiva, ritirandosi nelle tende dalla guerra, favorisce l'avanzata di Ettore e la rovina dei Greci.
L'eroe è orgoglioso e brutale ('αγήνωρ), geloso della propria figura onnipotente. Tuttavia vi sarà un cambiamento nell'animo, specialmente dopo la morte di Patroclo, perché improvvisamente vulnerabile nei sentimenti, essendo Patroclo il suo più degno compagno, con cui si riteneva immortale. Dopo la selvaggia furia di combattere, i sentimenti di Achille vengono intaccati alla fine da Priamo con le sue suppliche di restituzione del corpo di Ettore. Omero tratteggia sapientemente l'obbligo della vendetta per l'affermazione e il ripristino del proprio onore, tipico nei clan greci arcaici.
Ettore è rappresentato invece con un aspetto più umano e mite. Egli incarna i valori fondanti del soldato difensore della città; egli è mosso dall'"onore-rispetto" (τιμή) e dalla "vergogna" (αιδώς). Ettore è il buon conduttore dell'esercito, il buon marito che, nella scena delle Porte Scee, preferisce di gran lunga combattere morendo sotto le mura, perendo da vero eroe valoroso, piuttosto che pensare alla cura della famiglia e vivere un'esistenza da vigliacco. Il suo sacrificio sarà d'esempio per il futuro del figlio Astianatte, che nell'episodio tocca simbolicamente l'elmo del padre. Nella scena del duello finale l'eroe è rappresentato in tutta la sua umanità, perché cede alla furia di Achille, scappando. Tuttavia il fuggire gli ricorda i suoi doveri di eroe, e pur sapendo che morirà, decide di affrontare in guerra il Pelide.
Dopo la morte, Omero mostra un esempio di "purificazione" dal sangue e dal genocidio nei confronti di Achille. L'eroe stesso non ha previsto che con la morte di Ettore, egli si sarebbe purificato di tutte le colpe commesse sin dall'inizio del poema, ritornando a uno stato di quiete e di purezza, pronto per una nuova battaglia verso l'inevitabile morte. L'elemento purificatore è proprio Priamo, che lo convince a restituirgli il corpo, come segno di benevolenza e rispetto tra i nemici.