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Libro

Greco V

6. Menandro: la vita

6.1. Le caratteristiche generali delle commedie superstiti

Di Menandro erano note, nell'antichità, 105 commedie, solo 8 delle quali avevano riportato la vittoria negli agoni drammatici ateniesi. Nei manoscritti, invece, erano giunte solo le Sentenze, una raccolta di aforismi di saggezza popolare dalle sue commedie, tutte in un solo verso (monostiche), sulle donne, l'amicizia, l'educazione, la fortuna.

La nostra conoscenza di Menandro dipende esclusivamente dalle scoperte papiracee del Novecento, tra cui spiccano un papiro del Cairo e il codice Bodmer, pubblicato nel 1959. Altri papiri ci permettono di leggere l'Aspis (Lo scudo; pervenuta per circa una metà); il Dyskolos (Il misantropo o Il bisbetico; rappresentata nel 316 a.C., unica opera pervenuta integra, anche se con qualche lacuna); gli Epitrepontes (L'arbitrato; pervenuta in gran parte); il Misoumenos (L'uomo odiato, pervenuta per due terzi); la Samia (La donna di Samo); la Perikeiromene (La donna tosata). Di altri drammi restano frammenti più o meno lunghi. Ricordiamo fra di essi Il detestato, Il due volte ingannatore, La donna di Perinto e Lo Storfiappo.

 

Menandro è un comico molto sottile: non genera momenti di pura ilarità, ma sorrisi, tramite un senso dell'umorismo che coinvolge lo spettatore, mettendo in risalto i caratteri veri dell'individuo e non è usato necessariamente per prendere in giro il personaggio in questione.

Un esempio ci è dato dallo Scudo, in cui viene fatto risaltare - soprattutto all'inizio - l'avarizia del vecchio Smicrine. Costui, di fronte alla notizia - che poi si rivelerà fasulla - della morte del nipote Cleostrato, accenna molto più interesse al bottino accumulato e portato in patria dal fedele servo Damo piuttosto che alla descrizione del fatto e al πάθος (páthos) dell'evento. Persino noi moderni non possiamo evitare quanto meno di sorridere di fronte a una così sfrenata sfacciataggine che non si limita nemmeno in un momento così triste.

Si può, dunque, notare che la funzione "derisoria" è praticamente assente: benché il momento comico ci sia, lo spettatore non può non trovare la condotta del vecchio molto immorale, che in questo contesto così diverso dalla vita di tutti i giorni risalta nettamente.

Questa caratteristica fondamentale del teatro Menandreo era stata teorizzata precedentemente da Aristotele nella sua Poetica. Il filosofo afferma che la commedia - a differenza della tragedia, con cui condivide il senso della μίμησις (mimesis) - culmina non nella catarsi (κάθαρσις, katharsis), bensì nel ridicolo (γελοῖον, ghelóion). Il ridicolo che non ride delle disgrazie altrui, ma solo di una certa tipologia di persone che - in un modo o nell'altro - se la meritano. Chi viene messo alla berlina non è certo il servo Davo, l'etera Criside (Σαμία) o il ricco Sostrato (Δύσκολος), i quali sono i modelli positivi delle vicende, ma l'avaro, il misantropo e l'iroso, i cui comportamenti deplorevoli vengono in qualche modo "esorcizzati" attraverso la funzione apotropaica ed etica del riso. In qualche modo, tutto si potrebbe semplificare con "non comportarti come lui, o ti ricoprirai di ridicolo".

All'interno della vicenda vi sono molti intrecci, causati molto spesso da incomprensioni. L'esempio più notevole è dato dalla Samia, in cui il figlio di Moschione viene attribuito - da parte di madre - all'etera Criside, che conduce inevitabilmente alla cacciata della donna dalla casa del proprio innamorato. Tale struttura confusa richiama un altro concetto fondamentale: quello della Τύχη. Nelle vicende delle commedie, non vi è un ordine razionale delle cose, perché tutto è dettato dal caso. Ogni tentativo per risolvere le difficoltà e sciogliere l'intreccio è destinato a fallire o a non avere alcun riscontro, perché il Caso o crea ulteriore confusione - una parola che viene equivocata dal pensiero umano che è facilmente fallace - o scioglie la vicenda in un modo che nessuno si era aspettato: la caduta in un pozzo (Δύσκολος) o il ritorno inaspettato di un individuo creduto morto (Ἀσπίς). Non è una coincidenza, quindi, che sempre nell'Aspís è la Sorte stessa a rivelare il lieto risvolto della vicenda. Il concetto di Τύχη non è quindi negativo, perché ogni commedia ha un lieto fine, né tende a screditare la ragione umana. Menandro vuole solo far intendere che nella realtà non c'è nulla di certo, che anche nelle vicende più comuni può accadere di tutto: perciò, più che indagare il trascendente o esercitare l'ingegno in eventi più grandi di lui, si dovrebbe tendere ad esaminare l'uomo e la sua natura (e ciò coincide non solo con il pensiero ellenistico, ma anche con quello sofistico, che proliferava in quegli anni).

Menandro rappresenta nelle commedie un uomo autentico e comune, con i suoi pregi e difetti. Questi ultimi vengono (come abbiamo già avuto modo di dire) amplificati. Il commediografo sperimenta la reazione di questi caratteri e di questi uomini a diverse situazioni, mostrandoci come un individuo di quel genere avrebbe provato e vissuto quell'evento. Tuttavia, l'indagine non è completa, poiché gran parte delle vicende sono avulse da una serenità generale, in cui il sentimento più forte è la tristezza per la morte di un caro, per cui mancano quei grandi sentimenti che sconvolgono l'uomo.

Il commediografo ateniese evidenzia ed auspica il sentimento di unione, fratellanza e amicizia tra gli uomini, i quali non devono combattersi tra di loro o odiarsi per il proprio pensiero, la patria di origine o la condizione sociale. Nelle commedie di Menandro, il ricco e il povero (basti vedere Demea e Nicerato nella Samia o Sostrato e Gorgia nel Dyskolos), il servo e il padrone (Davo e Cleostrato nell'Aspis) sono messi sullo stesso piano umano, ognuno di loro ha pari dignità e libertà di pensiero.