Mentre nella Politica Aristotele aveva trattato della catarsi generata dalla musica che induce alla meditazione, alla riflessione e che libera dalle cure quotidiane, nella Poetica descrive la catarsi come il liberatorio distacco dalle passioni tramite le forti vicende rappresentate sulla scena dalla tragedia.
Aristotele, che intende la tragedia quale mimesi, imitazione, della realtà, ne sottolinea l'effetto di purificare, sollevare e rasserenare l'animo dello spettatore da tali passioni, permettendogli di riviverle intensamente allo stato sentimentale e quindi di liberarsene.
Questa è una interpretazione di tipo psicologico della non ben chiarita catarsi aristotelica, che si affianca all'altra che sostiene che lo spettatore, attraverso la rappresentazione di vicende che suscitano forti emozioni, prova pietà per gli avvenimenti che travagliano i protagonisti del dramma e terrore all'idea che anche lui potrebbe trovarsi in situazioni simili a quelle rappresentate. La pietà e il terrore saranno risolti catarticamente nello spettatore nel momento in cui il dramma si scioglierà in una spiegazione razionale dei fatti narrati.
Un'interpretazione del tutto nuova e originale è stata data da Carlo Diano nel saggio La catarsi tragica. Attraverso una lunga e profonda analisi filologica di testi e fonti, Diano scioglie il nodo che il senso della catarsi tragica ha costituito per molti secoli. La catarsi tragica altro non è che un aspetto della techne alypias, quella praemeditatio futurorum malorum già praticata dai Cirenaici. Dunque, una tecnica per avvezzarsi a sopportare i mali e il dolore che potranno colpire in futuro.