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Libro

Greco IV

12. Isocrate: la vita

12.1. Le opere

Il corpus isocrateo, così come ci viene tramandato dalla tradizione, riporta oltre 60 titoli di orazioni - la metà delle quali spuria. Al giorno d'oggi, sopravvivono solo 21 orazioni, delle quali

6 appartengono al genere giudiziario (le orazioni XVI-XXI)

14 sono di genere epidittico (in ordine di datazione):

Encomio di Elena (successiva al 390 a.C. circa)

Busiride

Contro i Sofisti

Panegirico (380 a.C.)

Plataico (371 a.C.)

Evagora (tra il 370 e il 364 a.C.)

Nicocle (368 a.C.)

A Nicocle (370 a.C.)

Archidamo (364 a.C.)

Sulla pace (355 a.C.)

Areopagitico

Antidosi (di poco successivo al 354 a.C.)

Filippo (346 a.C.)

Panatenaico (339 a.C.)

infine, lo scritto A Demonico è riconosciuto spurio.

Sotto il suo nome ci sono tramandate anche 9 epistole, alcune delle quali considerate spurie.

Lo stesso Isocrate ci informa che le sue orazioni epidittiche furono scritte per essere studiate dai discepoli della sua scuola: il retore infatti non pronunciò mai in pubblico tali orazioni, a causa della timidezza. Isocrate inoltre spese gran parte delle energie a rivedere i propri scritti, avendo sempre di mira la perfezione stilistica, la scorrevolezza e l'intensità emotiva: il risultato è una prosa elegante, temperata e sintatticamente corretta, scorrevole alla lettura, ma tuttavia monocorde, e carente delle coloriture tanto apprezzate in altri retori e scrittori.

Egli offriva inoltre insegnamenti filosofici solo a chi ne avesse predisposizione, cioè a chi avesse l'ardire di parlare di fronte a una folla e fosse in grado di apprendere dal maestro un sistema di idee. Attraverso le idee, infatti, si forma il discorso politico, che aiuta a formare i caratteri. Il corso durava in media 3 4 anni e l'insegnamento principale era la filosofia: l'oratoria e la filosofia permettevano di esprimersi in modo elevato.

 

L'orazione Contro i Sofisti è una sorta di manifesto programmatico della scuola isocratea: si rivolge infatti a tutta l'élite colta ateniese. Chi sono i sofisti per Isocrate? Tutti quelli che di retorica e cultura hanno una concezione diversa dalla sua, cioè:

Eristi: esperti nell'arte del disputare, falsi e districatori perché pretendono di insegnare felicità illusoria (tra di essi sono annoverati anche Platone e i suoi allievi);

Logografi: si servono della retorica per amor di denaro;

I maestri di eloquenza politica: si propongono come maestri di retorica e riducono l'arte a pura tecnica, non sapendo poi intervenire tempestivamente nelle situazioni concrete.

Isocrate non si avventura sul terreno teorico, ma si schiera dalla parte dell'uomo comune che valuta i discorsi secondo la loro trasparenza e la loro utilità. Non esita pertanto a bollare come "ciarlataneria" i discorsi e gli insegnamenti dei propri avversari, i quali non sono in grado di trovarsi d'accordo nemmeno sui princìpi fondamentali. Perciò egli contrappone alla scienza dei filosofi (episteme), la sua doxa, intesa quale ragionevole opinione, condivisa dai vari membri della polis. Diversamente da Socrate e Platone, Isocrate ritiene che la virtù non sia insegnabile, poiché non è possibile formulare un'arte in grado di farlo: chi non è portato alla virtù, non può apprenderla. Il cittadino virtuoso, allora, preferisce dedicarsi all'opinione che ne hanno i più, ovvero la doxadella polis, piuttosto che perdere tempo con delle sciocchezze.

Su questi temi Isocrate ritornerà nell'Antidosi, quando, ormai vecchio, sarà disposto ad ammettere che l'eristica non è né dannosa né inutile alla formazione dei giovani. Essa non si può però chiamare filosofia: piuttosto è un'esercitazione dell'anima che prepara alla vera filosofia, cioè all'educazione politico-retorica. Insegnamento principe della paideia isocratea è infatti la retorica, la quale insegna a saper sfruttare il kairós le occasioni che vengono di volta in volta offerte all'individuo. Si tratta di un concetto molto complesso e sfaccettato, di chiara derivazione sofistica (specie Gorgia), che Isocrate apprende e sviluppa in modo autonomo e originale. La retorica insegna a tenere discorsi davanti a un pubblico, adattando il proprio discorso alla tipologia di persone che ci si trova di fronte: in questo modo il giovane apprende come sfruttare appieno le proprie potenzialità, imparando di conseguenza a sfruttare le opportunità che gli vengono date. Tale insegnamento, spostato sulla vita quotidiana, rende non solo buoni retori, ma anche dei buoni politici, dei buoni amministratori ed economi per la propria famiglia e la polis.

Isocrate si vantava infatti che i propri allievi fossero tutti diventati dei membri importanti e rispettabili della polis, segno inequivocabile che lui fosse un buon maestro. Il buon maestro di retorica è dunque buon maestro di vita: insegnando a seguire la doxa della polis, che poi è la virtù, egli fa sì che i propri allievi divengano dei buoni cittadini. Tali presupposti pongono le basi per quell'istruzione umanistica che avrà tanta fortuna nella storia dell'educazione nel mondo occidentale. Alla lezione di Isocrate si rifaranno infatti Cicerone, Quintiliano, i grandi pensatori rinascimentali e quanti si sono riconosciuti in quella figura di intellettuale definita dalla formula: vir bonus dicendi peritus.

 

Documento del suo programma politico è il Panegirico (380 a.C.). Il titolo richiama le "Panegire", riunioni festive che vedevano tutta la grecità unita nella comune identità di sangue e cultura per celebrare i suoi eroi una volta smesse le guerre.

Isocrate mira appunto a risuscitare quel clima. Vuole che la Grecia ritorni all'antica gloria, che Sparta e Atene si riconcilino, che Atene riprenda il posto di potenza egemone. C'è un bisogno nuovo di solidarietà più stretta tra i greci. La Grecia deve trovare in sé la forza per giungere alla pacificazione, alla "Concordia" Nazionale. Parlare di unità nazionale sarebbe fuori luogo: tuttavia nel dissolversi del sistema delle polis emergono nuove tendenze aggregatrici che vanno al di là dell'ambito delle polis stesse: i cittadini infatti si sentono sempre meno cittadini e sempre più greci, prendendo coscienza del fatto di vivere uniti dalla stessa cultura, ben più importante del vincolo di sangue.

Peculiarità del popolo greco è proprio la cultura, che sancisce la sua identità e la sua superiorità. Al termine dell'orazione il suggerimento come una spedizione contro la Persia per risorse e denaro, indica anche il valore di opera di acculturazione di popoli "barbari". Secondo questa concezione Isocrate vedeva Atene come "scuola di tutto il mondo", e non solo come scuola dell'Ellade come aveva asserito Pericle nel suo discorso funebre riportato da Tucidide.