Il pensiero platonico nasce in coincidenza con la condanna a morte di Socrate (470/469 - 399 a.C.), suo maestro, e quindi con l’emersione del problema della giustizia. Platone (428/427 - 348/347 a.C.) inizia infatti la propria attività di filosofo - che lo porterà a comporre trentaquattro “dialoghi” - ragionando sul concetto di Verità, con l’ambizione di rintracciare un criterio universale ed assoluto di “giustizia”.
Per il filosofo, strettamente legato al problema della giustizia c’è quello della conoscenza: per agire rettamente, l’uomo deve conoscere il Bene, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ed è in questo punto che si verifica il passaggio alla gnoseologia platonica, che sostiene che le percezioni sensoriali sono incomplete e parziali, mentre solo l’anima può attingere alla vera conoscenza, che è sempre di natura razionale. Nella filosofia platonica si delinea così la differenza tra la realtà empirica, percepibile con i sensi, e la realtà dell’Iperuranio, dove risiederebbe la Verità e di cui la nostra realtà sarebbe una “copia”.