Se Alceo, Saffo e Anacreonte cantavano per lo più in prima persona i propri componimenti, accompagnando la voce con il suono della lira, davanti a un pubblico selezionato e conosciuto, i poeti corali affidavano a un Coro le parole, la musica e i movimenti di danza immaginati per occasioni particolari, feste pubbliche e/o celebrazioni religiose a partecipazione potenzialmente illimitata. L’esecuzione, lontana dalle improvvisazioni consentite e talora richieste a simposio, presupponeva un periodo di ‘allenamento’, durante il quale non di rado il poeta stesso – caricato della responsabilità creativa e autoriale di un lavoro di équipe – istruiva il Coro sulle modalità di ‘messa in scena’ del canto. Un canto elaborato, strutturato in figure metriche assai complicate rispetto alla ripetitività dei distici elegiaci e dei trimetri giambici (e coliambici), dei tetrametri e degli epodi, e alla relativa semplicità delle strofe monodiche, generalmente caratterizzate da periodi di tre o quattro cola: il grande partenio di Alcmane (PMGF 1), per esempio, presenta in sequenza strofe di 14 cola, e Stesicoro usa estensivamente una struttura triadica – per cui a una strofe segue un’antistrofe con identico schema metrico, e un epodo con uno schema autonomo ma ritmicamente affine – anche più volte ripetuta in uno stesso componimento, se Ibico documenta almeno quattro triadi in sequenza (PMGF S151), Bacchilide otto (1) e Pindaro addirittura tredici (P. 4; un epinicio ‘medio’ ne contava quattro o cinque). Il fatto che sia Ibico (PMFG S151) sia Pindaro (fr. *123 M.) ricorrano alla struttura triadica per un encomio, una specie che aveva di norma un’esecuzione solistica, è tuttavia un forte richiamo a non tracciare – neppure a questo riguardo – demarcazioni troppo rigide. Costante, sia pure nella varietà delle scelte di ogni poeta, è però la lingua dei cori, una miscela d’arte a fondo prevalentemente dorico, qualunque fosse l’origine del compositore, che si trattasse del dorico Alcmane, del beotico Pindaro, degli ionici Simonide e Bacchilide. Un’inflessione che poté essere forse il residuo di una tradizione poetica ‘continentale’, interamente sommersa, ma anticamente parallela a quella ionica di cui i poemi omerici sono il lascito più cospicuo; ovvero, più semplicemente, la conseguenza del fatto che la più antica lirica corale – dal corinzio Eumelo all’arcade Echembroto, dall’argivo Sacada agli spartani di adozione Terpandro, Taleta e Polimnesto, e allo stesso Alcmane – è quasi senza eccezioni connessa con il Peloponneso. Una lingua lontana sia dall’altra Kunstsprache, di marca ionica, che aveva caratterizzato l’épos omerico, sia dalla lingua degli elegiaci e dei giambografi – che, in grande maggioranza di area ionica, avevano utilizzato il dialetto ionico, più o meno fiorito di letterarizzanti omerismi – sia infine dalla lingua delle monodie, i cui poeti avevano per lo più impiegato il proprio dialetto nativo (lesbico Saffo e Alceo, ionico Anacreonte, beotico Corinna) o quello dei loro uditorî. Gli elementi distintivi, tuttavia, finiscono qui. Sia perché i vari ‘sottogeneri’ della lirica – dai variegati inni ai prosodi processionali, dai peani apollinei ai dionisiaci ditirambi, dai parteni femminili ai danzanti iporchemi, dai celebrativi encomi agli epinici festosi, dai lieti imenei ai treni luttuosi – potevano essere affidati a un Coro come a un solista, per quanto l’esecuzione corale fosse di norma maggioritaria, ed esclusiva per parteni e iporchemi. Sia, anche, perché nella produzione dei poeti abitualmente considerati corali non è infrequente riscontrare la presenza di composizioni destinate al canto a solo, come probabilmente le citarodie di Stesicoro e Ibico, i rispettivi paidiká (PMGF TB23(i)(a) e forse S151 e 288), gli encomi di Pindaro (frr. 118-*128 M.) e di Bacchilide (frr. *20-*21 M. = Enc. frr. 1-11 Ir.) e forse persino qualche epinicio, nonché una parte, sia pure minoritaria, della produzione di Corinna (che pure fu poetessa soprattutto corale: cf. PMG 655,1-5), se i riferimenti personali presenti in PMG 657 e 664 sembrano lasciarsi inquadrare meglio in un contesto monodico (ma non vi sono certezze, in merito). Tra i poeti prevalentemente corali dunque – dopo Terpandro, che con Eumelo è uno dei primi esponenti pienamente ‘storici’ (dopo figure semi-leggendarie come Orfeo, Marsia, Olimpo, Tamiri, etc.) della lirica corale – vengono di norma raccolti in ordine cronologico i tre grandi dell’età arcaica, Alcmane, Stesicoro e Ibico, e inoltre, insieme a Corinna, i tre grandi dell’età tardoarcaica e classica, Simonide, Pindaro e Bacchilide.