La ricerca globale non è abilitata
Vai al contenuto principale
Libro

Greco IV

1. Letteratura greca dell’età arcaica

1.4. La melica corale

Di origine peloponnesiaca, come dimostra l'uso del dialetto dorico anche da parte di poeti esterni a tale area linguistica, la lirica corale vide tra i suoi iniziatori artisti trapiantati a Sparta da altre regioni (in primis Terpandro di Lesbo, mitico inventore dell'eptacordo e fondatore di una scuola musicale). A tale proposito, risulta possibile distinguere un primo periodo e un secondo periodo della lirica corale. Il primo periodo si estende indicativamente tra il 650 e il 550 a.C. (rispettivamente, florilegio di Alcmane e morte di Stesicoro). Il secondo periodo va invece dal 550 al 438 a.C. (rispettivamente, nascita di Simonide e morte di Pindaro). Si deve però tener presente che la distinzione tra questi "periodi" è tutt'altro che netta: basti pensare che, nello stesso anno 550 (circa), nacquero sia Ibico (del primo periodo) sia Simonide (del secondo).

Al primo periodo, oltre a Terpandro, si possono ricondurre altri lirici che, provenendo da altri luoghi della Grecia, sono in un modo o nell'altro giunti a Sparta e quivi hanno contribuito alla nascita della lirica corale: essi sono Polimnesto di Colofone, Taleta di Gortina e Alcmane di Sardi, uno dei nove lirici greci del Canone (l'unico di cui rimandano frammenti notevoli). Grande importanza riveste anche Stesicoro di Imera, altro poeta del Canone, ma di cui possediamo pochi e brevi frammenti, insufficienti per apprezzarne appieno l'arte. Lo stesso discorso vale anche per Ibico, continuatore dell'arte di Stesicoro, che forse si diede anche alla lirica monodica alla maniera saffica e anacreontea.

Al secondo periodo appartengono Simonide di Ceo, Bacchilide di Ceo (un suo nipote) e Pindaro di Cinocefale (nato nel 520, coevo di Bacchilide). La differenza principale tra i lirici di questo periodo e quelli del primo, vanno ricercate, più che nella forma della poesia, nelle circostanze in cui essa viene composta. Se, nel primo periodo, i poeti che componevano celebrazioni si rivolgevano direttamente a un "pubblico", stabilendo legami di empatia con esso anche attraverso l'accostamento di mito (antico) e vicenda celebrata (presente), ora, nel secondo periodo, la committenza va a coincidere con un'élite di tipo aristocratico (un tiranno, una famiglia nobile...): questo porta inevitabilmente all'inserimento, all'interno del canto, di un motivo adulatorio verso il committente. Il poeta diventa più versatile, e affina l'abilità di fondere in modo originale il tema mitico, per soddisfare le attese del pubblico, e la celebrazione del committente, spesso "eroificato" attraverso il mito stesso. Si parla, in questo caso, di "πολυτροπία" (polytropia - "versatilità", o "norma del polipo", per dirla con B. Gentili): l'artista non diventa adulatore passivo, bensì riesce a dimostrare la propria arte malgrado, e anzi proprio attraverso, tutte le limitazioni e restrizioni del caso.

Gli antichi distinsero diversi tipi di poesia corale, anche se oggi le caratteristiche di queste distinzioni sfuggono. Una prima differenza intercorreva tra canti in onore degli dei e canti per uomini.