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Libro

Greco III

7. Teognide: la vita

7.1. La lingua e il metro

A causa dello sviluppo di nuovi ceti, come quello dei marinai o dei commercianti, l'aristocrazia iniziava a perdere il suo potere e la sua credenza. Molti aristocratici vennero esiliati a causa di questa nuova classe dirigente, tra questi vi fu proprio Teognide, il quale scrive nel suo esilio tutto l'odio provato verso la nuova aristocrazia.

La società, secondo Teognide, era divisa in due gruppi: Εσθλόί "estloi" (ΑγαΘόι "agatoi" - Buoni) e Δειλόι "deiloi" (Κακόι "kakoi" - Cattivi). I primi, che erano rappresentati dall'alta borghesia erano ritenuti come magnanimi, invece i secondi, rappresentanti del ceto emergente, erano ritenuti vili. Tra questi due gruppi non potevano esservi delle unioni, perché un Δειλόs non potrà mai diventare un Εσθλόs, ma gli Εσθλόί possono venir contagiati dai Δειλόι.

I borghesi che avevano perso tutti i beni molto spesso organizzavano dei matrimoni combinati con persone dei nuovi cetiː per questo Teognide spiega la tattica del polipo o camaleonte, per cui bisognava essere vicini con le parole ai "cattivi", ma senza mai entrarci in intimità.

Ancora Nietzsche, a proposito di questa visione aristocratica, in Genealogia della morale descrive il poeta come uno dei massimi portavoce della nobiltà di spirito ellenica: Teognide rappresenta quindi le virtù superiori quali tratti distintivi dell'aristocrazia e quindi permette di distinguere, nelle parole di Nietzsche, la verità proveniente dall'uomo aristocratico dalla menzogna che invece è insita nell'uomo comune. Nello stesso passaggio (parte I, sezione 5) il filosofo tedesco fa alcune delle sue dichiarazioni più controverse, chiedendosi ad esempio se "... la razza del conquistatore e del padrone non stia soccombendo fisiologicamente ad una razza più scura-aborigena rappresentata dai popoli precedenti all'arrivo degli indoeuropei.

Si tratta forse di una delle questioni maggiormente dibattute in ambito scientifico, quella cioè se Nietzsche volesse o meno intendere tali dichiarazioni in una maniera letterale-razziale o più semplicemente come una metafora spirituale/figurativa; allo stesso modo ci possono essere dubbi sul fatto se Teognide sostenesse o meno una forma di eugenetica o comunque una forte selezione sociale quando fa affermazioni come questa: "Montoni, cavalli e asini noi li vogliamo di buona razza, Cirno, e che montino le femmine adeguate. Ma ecco che oggi un nobile non si vergogna di sposare una plebea, se questa gli porta una buona dote, né tanto meno una donna rifiuta la mano ad un uomo miserabile, se egli è però ricco: vale così più il lusso acquisito che la nobiltà di nascita. Viene venerata solamente la ricchezza, cosicché è l'oro che fa la razza; quindi non ti devi stupire se la razza finisce con l'imbastardirsi. Nella città il buono e il cattivo si sono oramai del tutto mescolati".

Charles Darwin ha espresso una diffusa preferenza per l'interpretazione più eminentemente biologica di tali dichiarazioni quando ha commentato i versi succitati: "Il poeta greco Teognide... ha intravisto quanto sia importante la selezione, se accuratamente applicata, che essa opererebbe per il miglioramento dell'umanità. Vide allo stesso modo che la ricchezza spesso controlla la corretta azione della scelta sessuale.

 

 

Di lui resta una silloge in due libri di 1389 versi dedicata a Cirno, il giovane eromenos da lui amato, affinché seguisse gli insegnamenti della virtù aristocratica.

Innanzitutto si osserva che la prima parte, più o meno corrispondente ai primi 1200 versi, sembrerebbe, come testimoniato da un passo (Il tuo nome sia suggello che garantisce i miei versi, in modo che non possa un altro appropriarsene), autentica. Invece della seconda parte (gli ultimi 200 versi), nella quale non appare mai il nome del destinatario Cirno, non si hanno notizie certe.

Riguardo a tale opera quindi è sorta una disputa incentrata principalmente su due domande: quanto di ciò che ci è arrivato appartiene davvero a lui? E a chi e a quando possiamo ricondurre la silloge attuale?

Una possibile risposta proviene da una corrente che si è sviluppata in Inghilterra e in America la quale sostiene che il contenuto della silloge sia, quasi interamente, appartenete a Teognide, a favore di questo vi è il carattere unitario dell'opera, le ripetizioni viste come un insegnamento del poeta mentre, tali studiosi, spiegano la presenza di versi di altri poeti attraverso la pratica, riconosciuta fra gli antichi, dell'imitazione. Diversa a riguardo è la posizione dei Tedeschi quali hanno da sempre individuato nell'opera un carattere del tutto esterno. Interessante è la teoria di Nietzsche il quale aveva notato nella gran parte delle elegie dei richiami, allacciamenti verbali che esplicherebbero che la silloge è ordinata secondo questo criterio.

Fra gli altri autori spicca la teoria di Welcker, iniziatore della critica moderna teognidea, il quale, nella prefazione all'edizione della silloge, risalente agli inizi dell'800, sostiene che un altro autore, probabilmente un compilatore bizantino, abbia pubblicato, sotto il nome di Teognide, una silloge contenente scritti anche di altri autori.

Nel 900 gli studi continuano con Harrison, moderato conservatore e Friedlander il quale identificò, nella prima parte della silloge, un ordinamento in base al sigillo; poi, Hudson-Williams riconobbe nella silloge uno scheletro di un libro unico, appartenente a Teognide, dedicata a Cirno. Successivamente ci sarà la teoria di Jacoby il quale ritrova nella silloge diversi blocchi divisi da epiloghi e prologhi: il libro K (dedicato a Cirno, che egli sostiene sia quasi interamente teognideo), libro A (attribuito ad un ignoto poeta ateniese), libro M (redatto da un Megarese), libro E (erotico); si denota quindi, in lui, una posizione intermedia rispetto alla posizione radicale di Welcker e quella di Harrison.

Successivamente vi sono gli studi di Peretti, il quale sostenne la non riconoscibilità di un unico nucleo di base attribuibile a Teognide dal momento che tutti i testi presenti nella silloge sarebbero stati rielaborati.

Possiamo in definitiva affermare che diverse sono state le ipotesi nel corso del tempo e molti sono i dubbi riguardo alle origini della silloge.

Nel testo si nota che la quasi totalità dei frammenti che tratta in modo esplicito - e talora anche audace - della relazione pederastica fra Cirno e il poeta è concentrata nella seconda parte. Ciò porta a pensare che in origine essa sia nata come semplice repositorio delle parti "sconvenienti", creato in epoca bizantina da un redattore cristiano. In essa si sarebbero poi intruse alcune citazioni di tema analogo, ma di altri autori.

Friedrich Nietzsche ha studiato l'opera teognidea durante gli anni del suo soggiorno presso l'università di Lipsia; il suo primo articolo, pubblicato in un'influente rivista classica intitolata "Rheinisches Museum", riguardava la trasmissione storica dei versi raccolti. Il giovane Nietzsche è stato un caloroso esponente della teoria che spiega la disposizione dei versi tramandati sotto il nome di Teognide in coppie di poesie, ciascuna coppia collegata ad una parola comune che poteva essere posizionata in qualsiasi punto di essa. Tuttavia studiosi più tardi hanno osservato che il principio può essere fatto funzionare per quasi ogni antologia come una questione di coincidenza, a causa di associazione tematica.

Nietzsche ha valutato Teognide come esser stato l'archetipo della nobiltà nel contesto dei poeti rappresentanti della lirica greca, un nobile finemente formato ma in seguito caduto in disgrazia, essendosi trovato al crocevia di un forte cambiamento sociale: pieno di odio mortale nei confronti delle masse... non più saldamente radicato alla nobiltà del sangue; il cosiddetto libro II lo considerava invece interpolazione di un editore successivo.

 

19 Gli inizi della prosa. Esopo: la vita

 

Della sua vita si ha una conoscenza soltanto episodica, basata su pochi riferimenti presenti nell'opera di scrittori di epoca successiva come Aristofane, Platone, Senofonte, Erodoto, Aristotele e Plutarco. Un riferimento alla figura di Esopo si trova anche nella fiaba egizia della schiava Rhodopis, o Rodopi, un antico prototipo di Cenerentola e altri racconti di favole e fiabe. Una fonte decisamente successiva è una Vita di Esopo che raccoglie gran parte dei racconti popolari su Esopo. La Vita circolò nel Medioevo almeno dal XIII secolo; il monaco trecentesco Massimo Planude la trascrisse come prefazione a una raccolta delle favole dello scrittore greco. La mancanza di fonti certe e riferimenti coevi ha portato alcuni studiosi a mettere in dubbio la maggior parte della tradizione sulla vita di Esopo.