Sulla base dei pochi frammenti rimasti dell'opera archilochea, la tradizione ha tracciato un profilo di Archiloco: individualista, litigioso, trasgressivo e anticonformista. Tipico di Archiloco, infatti, è l'uso della persona loquens, un personaggio terzo cui vengono attribuiti fatti personali, ideali o considerazioni del poeta. Ne abbiamo un esempio nel frammento riguardante l'uomo, che poi verrà identificato da Aristotele come il falegname Carone, che afferma di non provare alcun'ambizione o invidia delle ricchezze di Gige o delle imprese compiute dagli dei, né aspira ai grandi poteri della tirannide, poiché "queste cose sono ben lontane dagli occhi miei". Secondo Aristotele l'uso della persona loquens era usato dai poeti per esprimere un'opinione o un ideale che era in contrasto con quelli della società in cui vivevanoː tuttavia, va ricordato che il poeta, tra VII e VI secolo a.C., parlava spesso a nome della "comunità" o del gruppo a cui apparteneva e, quindi, gli ideali che egli o la "persona loquens" esprime sono condivisi da altri. Secondo molti però, tale interpretazione vizia in senso autobiografico i caratteri satirici della poesia giambica: in spregio della morale del tempo, Archiloco afferma di aver gettato lo scudo ed essere fuggito per salvarsi la vita, ripromettendosi di comprarne uno nuovo e, quindi, alla negazione dei topoi dell'ethos eroico, si affianca l'affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario, nel quale rifiuta anche la καλοκἀγαθία (kalokagathia), sintesi tradizionale di bellezza e virtù.
Fu, inoltre, il primo poeta della letteratura occidentale a rappresentare l'amore come tormentoː il violento erotismo della sua poesia, seppur meno oscenamente crudo che in quella ipponattea, insieme allo spregio dei valori tradizionali, gli valse aspri rimproveri da parte degli antichi. L'amore gli ispira le sensazioni più disparate, dalla tenerezza, alla bellezza, fino alla sensualità e agli sfoghi irati per gli amori delusi.
Al contrario, i componimenti elegiaci trattano motivi autobiografici ed evitano ogni oscenità; tuttavia, nell'accezione moderna di poesia archilochea, si tende ad assimilare componimenti giambici e componimenti elegiaci, per dare un'immagine più unitaria di Archiloco. In realtà, le invettive, in Archiloco, tendono innanzitutto a denunciare aspetti deformi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non per distruggere, ma anzi per costruire e affermare quei principi e quei valori che erano o avrebbero dovuto essere condivisi da tutti. Ed è proprio nei frammenti elegiaci che la denuncia si intreccia con la riflessione e l'esortazione: esempi eclatanti sono il Fr. 1 T., in cui Archiloco ci riferisce la sua doppia vocazione e "investitura"; il già citato Fr. 5 T., sullo scudo abbandonato; il Fr. 13 T., noto come "l'elegia del naufragio". Nelle invettive di Archiloco quelli che apparentemente sembrano attacchi o scherni sono in realtà schiette e risentite denunce dei molteplici aspetti negativi del mondo: il poeta, in questo modo, non va inteso come un individualista, maledetto e irridente personaggio, bensì come un convinto assertore di valori, come la modestia, la lealtà, l'amicizia, l'equilibrio, la misura, che erano ampiamente condivisi e non avevano nulla di eversivo.
La lingua di Archiloco è la lingua omerica, che però, viene sottoposta a un processo continuo di transcodificazione, spesso violentemente rappresentativo (carattere ironico anti-omerico). A tal proposito, oltre che per la novità della sua poesia, Nietzsche, ne La nascita della tragedia, scrive efficacemente di lui:
«Su ciò l'antichità stessa ci dà un chiarimento intuitivo, quando in opere di scultura, gemme, eccetera pone l'uno accanto all'altro, come progenitori e portatori di fiaccola della poesia greca, Omero e Archiloco, con il fermo sentimento che solo questi due siano da considerare nature originali in modo ugualmente pieno, da cui continua a sgorgare un torrente di fuoco per tutta quanta la posterità greca. Omero, il vecchio sognatore sprofondato in sé, il tipo dell'artista apollineo, ingenuo, guarda ora stupito la testa appassionata di Archiloco, il battagliero servitore delle Muse, selvaggiamente sospinto nell'esistenza: e l'estetica moderna ha saputo aggiungere solo, interpretando, che qui all'artista «oggettivo» è contrapposto il primo «soggettivo»»
Come già rilevava Quintiliano, lo stile archilocheo era caratterizzato da brevità, efficacia espressiva ed espressione sanguigna, arricchita da una notevole ricchezza tropica (metafore, similitudini). Archiloco fu un grande innovatore anche nel campo della musica: a lui secondo la tradizione si deve l'invenzione della parakataloghè, il recitativo musicale tipico della poesia giambica, dove la voce narrante cioè accompagnata da uno strumento a corda o a fiato, senza arrivare al canto spiegato vero e proprio. A tutt'oggi, però, non è ancora chiaro in cosa quest'ultimo si differenziasse dal recitativo dell'epica.
Archiloco ebbe molta fama; fu infatti modello ispiratore per molti poeti e artisti: su tutti, Anacreonte, Alceo, Saffo e Orazio; studiato nelle scuole, imitato, copiato e canzonato dai comici, discusso da filosofi e sofisti, citato per antonomasia da Platone, fu considerato da Quintiliano come notevolissimo esempio di stile. Claudio Eliano, nella Ποικίλη ἰστορία (Varia Historia), riporta il seguente discorso di Crizia, uomo politico ateniese di fede aristocratica della fine del V secolo a.C.:
«Se costui [Archiloco] non avesse diffuso fra gli Elleni una tale fama di sé, noi non sapremmo che era figlio di una schiava, Enipò, né che per povertà e per angustie lasciò Paro e si recò a Taso, né che, giunto qui, si rese nemici tutti, e neanche che parlava male degli amici non meno che dei nemici”. [Crizia] aggiunge: “Oltre a ciò non sapremmo nemmeno, se non l'apprendessimo da lui, che fu adultero, né che fu sensuale e litigioso, né – il che è la più grande vergogna – che abbandonò lo scudo. Dunque Archiloco non fu buon testimone di se stesso, lasciando di sé una tale opinione e una tale fama”»
(Crizia, fr. 44 DK.)
Anche Pindaro, nella seconda Pitica, critica pesantemente il poeta di Paro, definito "amante del biasimo, che s'ingrassa con l'odio dalle gravi parole" ed Eraclito testimonia un'ostilità notevole nei confronti di Omero e Archiloco, affermando che "Omero è degno di esser frustato e cacciato via dalle gare e con lui Archiloco".