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Libro

Greco III

2. Omero: la vita

2.3. La ripresa della questione omerica nell' età moderna

D'Aubignac e Vico

Nel 1664 François Hédelin, abate d'Aubignac, lesse in pubblico un suo scritto dal titolo Conjectures accadémiques ou dissertation sur l'Iliade. La dissertazione, che fu pubblicata postuma solo nel 1715, nasceva dall'esigenza di difendere la qualità letteraria del poema dalla sottovalutazione e dal disprezzo allora imperante in Francia. D'Aubignac credeva che Omero non esistesse e che l'Iliade fosse una incoerente mescolanza di vari canti (petite tragedie) composti in età diverse; il valore letterario non andava quindi valutato con riferimento all'opera complessiva ma ricercato in relazione alle singole parti. D'Aubignac non conosceva il greco, ed aveva avuto, con i poemi omerici, solo rapporti mediati da traduzioni latine (in particolare quelle di Giovanni Spondanus), e basterebbe questo a indebolire le sue argomentazioni. Egli sosteneva inoltre che, dato che al tempo di Omero la scrittura non esisteva, l'Iliade, a motivo della sua lunghezza, non avrebbe potuto essere tramandata oralmente. Tuttavia d'Aubignac basava la sua intera tesi su una visione assolutamente antistorica (come del resto fecero altri dopo di lui). Fu invece opposto il giudizio di Giambattista Vico che, anticipando teorie riprese poi dai Romantici, affermava che la poesia omerica non potesse essere opera di un solo autore ma di tutto il popolo greco nel suo Tempo Favoloso. Dopo aggiunte da parte di intere generazioni di cantori popolari, che si celavano sotto il nome di Omero, sarebbero nati i poemi omerici. Entrambi quindi, pur avendo visioni diverse della creazione dei poemi sostengono l'inesistenza di Omero.

 

Wolf

 

L'incomprensione del razionalismo dominante di Vico, da parte dei contemporanei, rese scarsamente popolare il pensiero del filosofo, e quindi le sue supposizioni sui poemi omerici. La stessa cosa non accadde per gli scritti di D'Aubignac, che coinvolsero la celebre opera del filologo tedesco Friedrich August Wolf (1759 1824), Prolegomena ad Homerum (Introduzione ad Omero), apparsa nel 1795 e considerata ancora oggi la prima trattazione del poema a livello scientifico.

 

L'opera, che vuole essere un'introduzione ad un'edizione critica dei due poemi, è per circa metà costituita da un'approfondita omerologia antica, mentre nella seconda metà si affronta più direttamente la questione; la tesi dell'abate francese (l'inesistenza della scrittura e la cucitura di piccole rapsodie) è accompagnata da citazioni e testimonianze, che dànno originalità all'opera laddove invece essa, senza ammetterlo esplicitamente, è sostanzialmente debitrice all'opera non solo di D'Aubignac, ma anche di T. Blackwell e R. Wood. Le quotazioni dell'opera wolfiana, dopo un'iniziale freddezza, cominciarono a salire fino a far proclamare Wolf padre della questione omerica.

La fortuna del filologo tedesco fu anche accidentalmente legata ad un evento letterario che aveva avuto un'influenza particolare sulla cultura contemporanea: l'anno successivo alla pubblicazione dello scritto di Wolf moriva il poeta scozzese James MacPherson, autore dei Canti di Ossian, una raccolta di poemetti che egli diceva esser stati tramandati per via orale da Ossian, un bardo (il corrispondente celtico dell'aedo greco) vissuto molti secoli prima (III secolo d.C.). MacPherson affermava di aver raccolto quei canti dalla viva voce dei contadini e pastori della sua terra: in realtà l'opera era un abile falso letterario, che ricreava l'atmosfera delle saghe celtiche, ma che era quasi integralmente dovuta alla mano dello scrittore moderno.

Questa opera offriva una precisa conferma della tesi di Wolf, equiparando Omero ad Ossian e colui che riportò in forma scritta i due poemi all'epoca di Pisistrato a MacPherson. Tuttavia, va riconosciuto a Wolf il merito di aver sviluppato tesi e spunti offertegli dai suoi predecessori e di aver indicato ai suoi successori una strada analitica. Da lui derivò un'intera corrente di filologi che portò ad una vera e propria vivisezione dei due poemi con l'intento di individuare qualsiasi elemento che potesse avvalorare la tesi anti unitaria. Inoltre si delineeranno due strade diverse di pensiero che faranno da base agli studi omerici dell'800 e '900. Nacquero così gli unitari (studiosi che attribuiscono ad Omero almeno uno dei due canti, generalmente l'Iliade, se non entrambi) e gli analitici (coloro che disconoscono Omero come padre dei due poemi).