Il perfetto greco è in tutti i modi un tempo principale, quindi non realmente concepito come passato (manca infatti l’aumento anche nell’indicativo), che esprime come valore aspettuale l’idea di un’azione compiuta, o, più precisamente, in stato di compiutezza: in altre parole, di un’azione passata i cui effetti perdurano al presente. Questo valore può concretamente rendersi in italiano con due prospettive diverse: a) con un indicativo presente o altra forma verbale che esprima tale situazione di stato compiuto. E’ questo il valore più antico del perfetto, in origine solo intransitivo, che in alcuni verbi può concretamente tradursi con significato diverso rispetto a quello degli altri tempi, esprimendo cioè il risultato, la conseguenza del compiersi dell’azione espressa dal tema del verbo. Es: οἶδα “so” (dalla radice Fειδ / Fοιδ / Fιδ impiegata in εἶδον, aoristo corrispondente ad ὁράω, “vedo”) = sapere come conseguenza del compiersi dell’atto di vedere. πεϕυκα= “sono per natura” , come conseguenza dell’essere generato (da ϕύω “genero”). πέποιθα=credo, come conseguenza dell’essersi persuaso (da πείθω “persuado”) ἔϕθορα = “sono in rovina”, come conseguenza dell’essersi rovinato (da ϕθείρω “rovino”) b) più spesso, con un indicativo passato prossimo, o altra forma verbale che esprima l’azione, di fatto anteriore, che è alla base di tale stato attuale. Es. πέπτωκε “è caduto” (motivo per cui si trova a terra) τέθνηκε (perfetto) “è morto”, cioè è un defunto ≠ ἔθανε (aoristo) “morì”, cioè è morto in un determinato momento τεθνᾶσιν οἱ θανόντες (Euripide): “Restano morti (indicativo perfetto) i morti (participio sostantivato aoristo)”, cioè quelli che sono morti (in una determinata occasione) restano nella condizione di defunti. Il perfetto con valore di presente si definisce in genere “stativo”, quello con valore di passato “resultativo”