La commedia dell'arte è nata in Italia nel XVI secolo ed è rimasta popolare fino alla metà del XVIII secolo, anni della riforma goldoniana della commedia. Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma su dei canovacci, detti anche scenari; in origine, le rappresentazioni erano tenute all'aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti. Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All'estero era conosciuta come "Commedia italiana". Nella loro formula spettacolare, i comici della Commedia dell'Arte introdussero un elemento nuovo di portata dirompente e rivoluzionaria: la presenza delle donne sul palcoscenico. In un contratto stipulato con un notaiodi Roma il 10 ottobre 1564, si ha la prima apparizione documentata di una donna: la "signora Lucrezia Di Siena" ingaggiata da una compagnia che si proponeva di far commedie nel periodo di carnevale, probabilmente un personaggio di elevata cultura in grado di comporre versi e di suonare strumenti. Solo alla fine del secolo le donne avrebbero preso posto a pieno titolo nelle compagnie teatrali. La denominazione veniva sostituita con altre: commedia all'improvviso (o improvvisa), commedia a braccio o commedia degli Zanni. Il nome "arte", nel Medioevo, significava "mestiere", "professione": quello del teatrante, infatti, era un vero e proprio mestiere. Bisogna però specificare che era considerato come tale, non per le compagnie amatoriali, ma solo per quelle compagnie associate che venivano riconosciute dai ducati e avevano un vero e proprio statuto di leggi e regole. Grazie a queste ultime, le compagnie associate sottomettevano le altre che venivano definite "ruba piazze". La prima volta che s'incontra la definizione di commedia dell'arte è nel 1750 nella commedia Il teatro comico di Carlo Goldoni. L'autore veneziano parla di quegli attori che recitano "le commedie dell'arte" usando delle maschere e improvvisano le loro parti, riferendosi al coinvolgimento di attori professionisti (per la prima volta nel Teatro Occidentale abbiamo compagnie di attori professionisti, non più dunque dilettanti), ed usa la parola "arte" nell'accezione di professione, mestiere, ovvero l'insieme di quanti esercitano tale professione. Commedia dell'arte dunque come "commedia della professione" o "dei professionisti". In effetti in italiano il termine "arte" ha due significati: quello di opera dell'ingegno ma anche quello di mestiere, lavoro, professione (le Corporazioni delle arti e mestieri). Il trapasso dalla commedia rinascimentale, umanistica ed erudita recitata dell'arte avviene tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo grazie ad una serie di contingenze fortunate che si susseguono intorno a quegli anni, non ultime le condizioni politiche e sociali che sconsigliavano una produzione teatrale incentrata sui contenuti, sull'impegno politico e sulla polemica sociale.La commedia dell'arte affonda le sue radici nella tradizione dei giullari e dei saltimbanchi medievali che, in occasione di ricorrenze festive o del carnevale, allietavano corti e piazze con farse, mariazzi (grottesche scenette di vita matrimoniale), "barcellette" (da cui la moderna barzelletta), raccontate e mimate da attori solisti, e con il loro "ridicoloso" modo di parlare, muoversi e vestirsi. La prima contingenza fu la nascita dei teatri privati, specialmente a Venezia dove le famiglie nobili iniziano una politica di diffusione, all'interno della città, di nuovi spazi spettacolari dedicati alla recitazione di commedie e melodrammi a pagamento. Per la prima volta le famiglie Tron e Michiel fecero costruire due "Stanze" per le commedie nella zona di San Cassiano, da cui i teatri presero il nome, che si trovava oltre Rialto, e per la prima volta (sicuramente dopo il 1581, com'è testimoniato da Francesco Sansovino, figlio dell'architetto Jacopo Sansovino), i due teatri aprono anche al pubblico popolare, da sempre escluso dagli spettacoli eruditi, prodotti per i principi e le loro corti. Sulla scia dei teatri di San Cassiano anche altre nobili famiglie veneziane si cimentarono nella costituzione di questa nuova industria, cosa che d'altra parte non stupisce visto la predisposizione mercantile ed imprenditoriale della città lagunare. Anche i Vendramin e soprattutto la famiglia Grimani (che all'inizio del Settecento aveva monopolizzato l'intera, o quasi, industria degli spazi teatrali veneziani) fecero costruire altri teatri per le rappresentazioni dei comici dell'arte come il Teatro Santi Giovanni e Paolo nel sestiere periferico di Cannaregio, ma anche del San Moisè, del teatro San Luca e del Teatro Sant'Angelo costruiti sul Canal Grande, sintomo dell'importanza che i teatri a pagamento avevano acquistato all'inizio del Seicento non soltanto a Venezia.La nascita dei teatri dette nuovo impulso all'arte dell'attore che da giocoliere di strada, saltatore di corda o buffone di corte che fosse cominciò a esibirsi in trame più complesse; per questo alcuni attori di strada cominciarono a strutturarsi in compagnie girovaghe: le "Fraternal Compagnie" dell'inizio si trasformarono in vere e proprie compagnie che partecipavano ai proventi di questa nuova industria. La recitazione assunse una nuova struttura e i testi da recitare si limitavano ad un canovaccio, dove veniva data una narrazione di massima indicativa di ciò che sarebbe successo sul palco. Su questo tratto dell'improvvisazione gli storici del teatro si sono spesso divisi: non per tutti l'improvvisazione era il tratto distintivo delle commedie degli Zanni, ma su questo era stata creata una mitologia dell'attore "puro" e completamente padrone dei suoi mezzi, tanto da non aver nessun bisogno di parti recitate. Forse il mito dell'improvvisazione proviene invece dalla scarsità di materiale e testi giunti fino a noi e dalla grande proliferazione di testimonianze iconografiche, che alle volte non sono che la testimonianza della diffusione di un'idea del comico dell'arte, piuttosto che una testimonianza dei testi recitati. Ad esempio, tutti i riferimenti nei quadri di Watteau niente hanno a che fare con i veri e propri comici della commedia italiana in Francia, sono piuttosto un colto inserimento delle maschere all'interno delle scenette arcadico-galanti dei soggetti dei suoi dipinti. La stessa cosa si deve dire dei Balli di Sfessania di Jacques Callot, che rappresentano piuttosto le maschere del carnevale napoletano e i suoi Zanni e Capitani niente hanno a che vedere con dei veri e propri attori dell'arte. Una delle prime testimonianze iconografiche riferibili sicuramente alla commedia dell'arte è la raccolta delle incisioni Fossard. Divisa in due parti separate, una raffigura i lazzi dei contrasti comici tra Magnifico e Zanni, l'altra è composta invece da incisioni riferite ad una rappresentazione teatrale con la comparsa di attori come Pantalone, Arlecchino, Zanni, il Capitano, Franceschina e gli Innamorati. Probabilmente si trattava di foglietti pubblicitari di una compagnia comica per attirare spettatori, le didascalie sono in francese e questo fa pensare ad una compagnia che alla fine del Cinquecento ha lavorato in Francia, forse quella di Zan Ganassa chiamata a Parigi nel 1571 dal re Carlo IX o la compagnia dei Gelosi, che nello stesso anno erano in Francia per il battesimo di Charles-Henry de Clermont. Ancora all'estero, nel castello di Landshut, in Bassa Baviera, un intero scalone è stato affrescato dal pittore italiano Alessandro Scalzi con scene della commedia dell'arte: sempre intorno agli anni settanta del Cinquecento, abbiamo infatti carteggi molto remoti di richiesta di compagnie comiche indirizzate dall'Imperatore Massimiliano II al Duca di Mantova, Guglielmo Gonzaga. Più di recente, sempre in area germanica, il pittore-scenografo Ludovico Antonio Burnacini ha riprodotto in acquerelli le disgrazie di Pulcinella e i travestimenti di Arlecchino per i teatri di Vienna; lo stesso soggetto dei travestimenti di Arlecchino è stato dipinto su tela, nel numero di diverse decine di soggetti, dal pittore fiorentino Giovanni Domenico Ferretti. Ci sono poi numerose incisioni nei testi che riportano canovacci di commedie, come quelle arlecchinesche del Teatro di Evaristo Gherardi, ritratti di comici ed altro ancora, oltre una vasta messe di raffigurazioni non ancora catalogate. In Italia, questo tipo di spettacolo sostituì tout court la commedia erudita del quattro-cinquecento, ma non soltanto questa: anche molte tragedie e pastorali, infatti, furono invase dalla presenza delle maschere. Arlecchino e gli altri zanni si trasformavano, in queste occasioni, in servi del tiranno o pastori arcadici, portando sempre e comunque il loro spirito irriverente di buffoni di corte o quello dei poveri diavoli come già avevano fatto i giocolieri nelle sacre rappresentazioni medievali. Goldoni riporta spesso nelle sue memorie alcuni lazzi, che nel Settecento ormai si erano consolidati, di zanni che agivano anche in tragedie sanguinarie come l'esempio di Belisario, dove Arlecchino, servo del generale bizantino caduto in disgrazia e accecato per gelosia dall'Imperatore Giustiniano, faceva camminare a colpi di bastone il suo padrone ormai cieco. Oppure nella tragedia Il Rinaldo, tratto molto liberamente dai personaggi del poema di Torquato Tasso, Arlecchino servo del paladino protagonista, difende il castello di Montalbano con una padella con cui respinge l'assalto dei nemici. Goldoni, di fronte a questi inserimenti comici, inorridisce e li riporta nelle sue memorie soltanto per dimostrare la decadenza del teatro italiano all'inizio della sua carriera (intorno al 1730) e sostenendo la necessità di una riforma che sostituisca la vecchia struttura del teatro mascherato con un nuovo teatro più vicino al naturale e con personaggi senza maschere. Esemplare in tal senso è il modo in cui egli racconta molti anni dopo l'evoluzione in "commedia di carattere" del celebre canovaccio “Arlecchino Elettrizzato” (Arlequin Electricien), originariamente ispirato ai primi esperimenti della “macchina scotente” di Luigi Galvani, e modificato sull'onda dei clamori suscitati dal collaudo del parafulmine, avvenuto a Parigi nel 1752. Nonostante l'impegno teorico di Goldoni, la commedia dell'arte è ancora ben viva nel cuore degli spettatori suoi contemporanei tanto in Italia, dov'era nata, che nelle principali corti europee dov'era diffusa con nome di commedia italiana e rappresentava, insieme al melodramma, la fortuna dell'arte dello spettacolo italiano. Nel 1750 Goldoni scrisse e fece rappresentare Il teatro comico, la sua commedia-manifesto, che metteva a confronto le due tipologie di teatro, quello dell'arte e la sua commedia “riformata”, cercando di far accettare sia alle compagnie che agli spettatori la novità di una commedia naturalistica che reggesse il passo con le novità del resto d'Europa come Shakespeare, che nel Settecento cominciò ad essere esportato anche fuori dall'Inghilterra grazie alla bravura di uno dei suoi più eccellenti interpreti di tutti i tempi: David Garrick, o le ultime commedie di Molière che, pur figlie spurie della commedia italiana, cominciavano un cammino d'identità propria che si sviluppò sino a Beaumarchais e alla commedia “rivoluzionaria” di Diderot. Ciò non toglie che ambedue gli autori, sia Molière che Shakespeare, abbiano sentito forte l'influsso dei commedianti italiani. Molière, in particolare, è stato allievo di Tiberio Fiorilli in arte Scaramuccia, poi diventato Scaramouche, quindi con una filiazione diretta che si sente in commedie come: Don Giovanni e nel Il borghese gentiluomo (soltanto per fare gli esempi più famosi) e alcuni personaggi shakespeariani come: Stefano e Trinculo de La tempesta sono due zanni “all'italiana” dei quali usano gli stessi lazzi e battute e forse persino Falstaff rievoca la figura del Capitano vanaglorioso della commedia dell'arte. Non si sa se Shakespeare vide mai una commedia dell'arte ma ne subì comunque il fascino, dato che il suo amico-avversario Ben Jonson, altro grande autore del teatro elisabettiano, mise in scena Il volpone la migliore versione inglese del teatro dell'arte all'italiana. I testi che ci sono giunti in forma di canovacci sono numerosi e coprono l'arco di due secoli, da quelli di Flaminio Scala del Teatro delle favole rappresentative, pubblicato nel 1611 ma di qualche decennio precedente visto che la messinscena de La Pazzia d'Isabella (presente anche in Flaminio Scala) della Compagnia dei comici Gelosi è testimoniata dalle cronache dei festeggiamenti del matrimonio tra Ferdinando II de' Medici e Cristina di Lorena del 1589. L'ultima opera teatrale scritta e pubblicata sotto forma di canovaccio fu L'Amore delle tre melarance di Carlo Gozzi del 1761. Il Gozzi fu acerrimo nemico della riforma di Goldoni e sostenitore della Commedia dell'Arte seicentesca (scrisse, fra le altre la commedia Turandot che tanta fortuna avrà nel melodramma del secolo successivo), e lasciò L'Amore delle tre melarance stampato sotto forma di canovaccio, un evidente omaggio agli attori-drammaturghi dell'Età dell'oro della Commedia dell'Arte che lo avevano preceduto. La fortuna della commedia dell'arte riprende nell'ambito delle avanguardie teatrali del Novecento come mito di riferimento di una "Età dell'Oro" dell'attore. A partire dai registi russi Mejerhold e Vachtangov passando attraverso il francese Jacques Copeau e l'austriaco Max Reinhardt si arriva alla grande intuizione di Giorgio Strehler che nel 1947 ne fece una bandiera della rinascita della cultura italiana dopo la guerra con il celebre allestimento di Arlecchino Servitore di due Padroni che ha visto nel tempo protagonisti del ruolo di Arlecchino Marcello Moretti, Ferruccio Soleri e attualmente Enrico Bonavera. Il lavoro di Giorgio Strehler ha trovato spunto dalle ricerche di Ludovico Zorzi e Gianfranco De Bosio al CUT di Padova, a cui si erano affiancati l'Arte plastica di Amleto Sartori per lo studio, la ricerca e la creazione di maschere originali, e Jacques Lecoq, mimo e pedagogo a cui si deve lo studio posturale, cinesico e gestuale dei vari caratteri. Amleto Sartori e il figlio Donato, – creatori delle maschere del 'Servitore di due Padroni' – hanno dato vita ad uno straordinario Centro Maschere e Strutture Gestuali, ad Abano Terme (PD); punto di riferimento e scuola per tutti coloro che si interessano e si avvicinano all'Arte della Maschera. Altro grande riscopritore della commedia dell'arte fu Giovanni Poli, regista fondatore della compagnia e scuola di teatro a l'Avogaria di Venezia, recuperò e riscrisse partiture teatrali del Cinquecento, mettendo in scena tra i tanti spettacoli, soprattutto la celebre "Commedia degli Zanni" rappresentata poi in tutto il mondo dalla stessa compagnia e per la quale Poli ottenne il prestigioso Premio per la migliore regia al Festival del Thèatre des Nations a Parigi nel 1960. Negli anni sessanta Dario Fo, grazie al sodalizio con Franca Rame, figlia di una famiglia di commedianti itineranti che possedevano ancora vecchi canovacci, ebbe la fortuna di poter studiare tali documenti, di verificare la loro efficienza e di adattarli alle nuove esigenze, creando una serie di commedie e di monologhi tra cui Mistero buffo. Negli anni ottanta, a seguito del grande successo della reinvenzione del carnevale di Venezia da parte di Maurizio Scaparro, la commedia dell'arte italiana ritrovò successo in tutto il mondo con la Famiglia Carrara e il Tag di Venezia diretto da Carlo Boso. Grazie alla parallela attività di formatore, diverse compagnie di commedia dell'arte si formano in base agli insegnamenti di Carlo Boso. Tra queste vale la pena ricordare, in Italia, l'Associazione Luoghi dell'Arte di Roma, le compagnie Teatroimmagine e Pantakin da Venezia, il TeatroVivo di Cotignola e il Carro dei Comici di Pesaro. Negli anni novanta Claudia Contin Arlecchino e il regista Ferruccio Merisi danno vita a Pordenone ad una nuova scuola di Commedia dell'Arte. La loro ricostruzione del linguaggio fisico e vocale dei personaggi in maschera e la messa a punto delle tecniche di improvvisazione e composizione scenica hanno forti connotazioni iconografiche e importanti connessioni con i grandi teatri formalizzati del mondo.La commedia dell'arte ha in qualche modo dato vita alla moderna commedia cinematografica Slapstick. La commedia dell'arte viene rappresentata in lingua tedesca in Germania dal Teatro d'Arte Scarello di Gian Andrea Scarello ed Anita Steiner.Ma è in strada che il mestiere di "Dar Commedia", ritrova la sua originaria forza "prototeatrale", assumendo caratteri assolutamente innovativi, attraverso quel processo di unificazione di circo clownesco e teatro, che va sotto il nome di "Arte di Strada".