L'Aminta è una favola pastorale composta da Torquato Tasso nel 1573 e pubblicata nel 1580 circa. La prima rappresentazione ebbe luogo con buone probabilità il 31 luglio 1573, al Belvedere di Ferrara. L'opera fu messa in scena dalla Compagnia dei Gelosi, una delle più celebri del tempo, senza i cori e gli intermezzi e forse senza l'episodio di Mopso. Riscosse un grande successo, tanto da essere richiesta l'anno successivo anche alla corte di Urbino, assecondando il desiderio della duchessa Lucrezia d'Este, amica dell'autore.L'editio princeps risale al 1580, per i tipi di un editore cremonese. L'anno successivo l'Aminta fu stampata dalla casa editrice dei Manuzio. Un pastore, Aminta, s'innamora di una ninfa mortale, Silvia, ma non viene ricambiato. Dafne, amica di Silvia, consiglia ad Aminta di recarsi alla fonte dove si bagna di solito la ninfa. Silvia viene aggredita alla fonte da un satiroche si appresta a violentarla, quando interviene Aminta che la salva. Ma lei, ingrata, scappa senza ringraziarlo. Aminta trova un velo appartenente a Silvia sporco di sangue e pensa che sia stata sbranata dai lupi. Addolorato per la presunta morte dell'amata decide di suicidarsi gettandosi da una rupe. Silvia, che in realtà non è morta, ricevuta la notizia del suicidio di Aminta, presa dal rimorso e resasi conto di amarlo, si avvicina al corpo piangendo disperata. Ma Aminta è ancora vivo perché un cespuglio ha attutito la caduta e riprende i sensi, così la vicenda si conclude con il coronamento dell'amore tra i due. L'opera ha un tono piuttosto lirico che drammatico e fa l'elogio dell'età dell'oro, quando l'uomo viveva in contatto con la natura, libero dagli impacci di una morale convenzionale creata dalla cosiddetta civiltà. L'Aminta esprime "una fondamentale aspirazione dell'anima e della poesia tassiana: l'abbandono al piacere, a una voluttà obliosa, il vagheggiamento di un libero espandersi dell'anima e dei sensi, o meglio di una sensualità trasfigurata in dolcezza, in pura, immediata gioia vitale senza più la coscienza del limite e del peccato" (Pazzaglia). E s'inquadra benissimo nel clima della vita vagheggiata alla corte degli Estensi, alcune personalità della quale è forse possibile intravedere nei personaggi dell'opera. L'opera rispetta il principio aristotelico dell'unità di tempo, di luogo, e di azione. Si inserisce nel filone cinquecentesco del dramma pastorale, che aveva già fornito esempi degni di nota, quali L'Egle di Giovanni Battista Giraldi Cintio e il Sacrificio del Beccari, e troverà ulteriori sviluppi con il Pastor fido di Guarini. Per quanto l'Aminta sia stata spesso vista come un'opera leggera e rivelatrice di un Tasso cortigiano, interessato unicamente a creare un'opera d'intrattenimento o un «idillio», essa offre comunque lo spunto per cogliere la sensibilità delicata dell'autore, in una felice rappresentazione di stati d'animo vicini a quelli della vita quotidiana, con una magistrale fusione tra verità e fantasia.In sostanza, il mondo dell'Aminta «è un mondo raffinato, e la stessa semplicità è un raffinamento».L'amore è variamente concepito, secondo i dubbi e le tensioni che agitavano l'animo del Tasso: sentimento puro e dolce in Aminta; forza naturale a cui bisogna rispondere con disincanto per Tirsi; istinto bestiale nel satiro dei boschi. L'opera sarà molto amata da Leopardi, che riprenderà proprio da questo testo i nomi di Silvia e Nerina, pseudonimi elevati a imperitura fama in A Silvia e ne Le ricordanze. Grande estimatore di questo dramma sarà anche il poeta russo Lermontov, che nella sua primissima gioventù userà lo pseudonimo Aminta, per pubblicare alcuni epigrammi. ll mondo dell'Aminta è lo specchio infatti del Ducato di Ferrara cui si fa riferimento come "città in riva al fiume". Il primo atto ricerca un equilibrio classicista dove infatti la favola boschereccia si apre con l'oggetto dell'amore e non con l'innamorato. Inoltre è un atto bipartito in due scene simmetriche che vedono a confronto i due protagonisti poiché si apre con Silvia e Dafne, la nutrice, in prima scena e nella seconda abbiamo Aminta e Tirsi, il consigliere. Dafne e Tirsi sono entrambi di età maggiore rispetto ai due giovani che allude a una differenza di sguardo sul mondo e sull'amore. La favola deve dimostrare la formazione psicologica di Silvia e come i piaceri di Venere debbano essere conquistati attraverso una via ardua.