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Libro

Italiano IV [PROGRAMMA]

11. LUDOVICO ARIOSTO

11.1. Orlando furioso


vOrlando furioso è un poema cavalleresco di Ludovico Ariosto pubblicato per la prima volta nel 1516 a Ferrara.
Il poema, composto da 46 canti in ottave (38.736 versi in totale), ruota attorno al personaggio di Orlando, a cui è dedicato il titolo, e a numerosi altri personaggi. L'opera, riprendendo la tradizione del ciclo carolingio e in parte del ciclo bretone, si pone a continuazione dell'incompiuto Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo: in seguito, tuttavia, Ariosto considererà l'Orlando innamorato solo come una fonte a cui attingere, a causa della non attualità dei temi del poema, dovuti alla materia cavalleresca, ma riuscirà a risolvere questo problema apportando delle modificazioni interne all'opera, tra cui l'introduzione di tecniche narrative sconosciute al Boiardo, e soprattutto intervenendo spesso nel corso del poema spiegando al lettore il vero fine degli avvenimenti.
Caratteristica fondamentale dell'opera è il continuo intrecciarsi delle vicende dei diversi personaggi, che costituiscono molteplici fili narrativi (secondo la tecnica dell'entrelacement, eredità del romanzo medievale), tutti armonicamente tessuti insieme. La trama è convenzionalmente riassunta intorno a tre vicende principali, emblemi anche del sovrapporsi nel poema di diversi generi letterari: in primis la linea epica della guerra tra musulmani (Saraceni) e cristiani, che fa da sfondo all'intera narrazione e si conclude con la vittoria cristiana in seguito allo scontro tra gli eroi avversari.
La vicenda amorosa s'incentra invece sulla bellissima Angelica, in fuga da numerosi spasimanti, tra i quali il paladino Orlando, di cui viene sin dalle prime ottave preannunciata la pazzia, portando all'estremo la dimensione del cavaliere cristiano della chanson de geste votato alla fede. Le inchieste dei vari cavalieri per conquistare Angelica si rivelano tutte vane, dal momento che (prima di uscire definitivamente dal poema nel XXIX canto, per giunta a testa in giù sulla sabbia) la donna sposerà il musulmano Medoro, causando la follia di Orlando e l'ira degli altri cavalieri.
Il terzo motivo, quello encomiastico o celebrativo (su cui tuttavia persistono all'interno del poema una serie di ombre), consiste nelle peripezie che portano alla realizzazione dell'amore tra Ruggiero, cavaliere pagano erede del troiano Ettore, e Bradamante, guerriera cristiana, i quali riusciranno a congiungersi solo dopo la conversione di Ruggiero al termine della guerra: da questa unione discenderà infatti la Casa d'Este.
Le vicende di Orlando e dei paladini di Carlo Magno erano già molto note alla corte estense di Ferrara grazie all'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo quando l'intellettuale cortigiano Ariosto comincia a scrivere il nuovo romanzo attorno al 1505. Il poema, pur essendo concepito come gionta (continuazione) dell'Orlando Innamorato del Boiardo, non fu mai ridotto a vero e proprio seguito del poema boiardesco: dimostrazione di questa mancanza di completezza è il fatto che, come giustamente fa notare sul «finale epico» Alberto Casadei, Ariosto non portò a termine tutti i nuclei narrativi aperti dal Boiardo. Anche la scelta di Angelica come punto di partenza del Furioso non era in questo senso ovvia: Boiardo aveva finito per privilegiare le "armi" agli "amori" e, nel progressivo snodarsi delle vicende epiche, aveva finito per trascurare Angelica per gran parte del secondo libro e per i nove canti del terzo.
Alla libertà di Ariosto nella relazione con la sua fonte principale corrisponde anche l'apertura di un poema che non si chiude mai completamente: il duello finale tra Ruggiero e Rodomonte, indubbio innalzamento epico della vicenda, lascia anche nel lettore un'impressione di incompletezza e insoddisfazione. Compiutezza mancata di cui sono rappresentazioni fedeli anche la profonda ambiguità dell'autore, la perenne oscillazione tra le "arme" e gli "amori" (tra l'epos e il romanzo) e la dimensione incompleta dei cavalieri sulla scena di cui è immagine emblematica la presentazione nel primo canto: di Orlando viene innanzi tutto evocata la pazzia; Rinaldo entrerà in scena inseguendo a piedi il suo cavallo; Ferraù impegnato a ripescare un elmo smarrito nell'acqua; Sacripante compare mentre rimpiange la verginità di Angelica e definisce il suo amore come un insieme di pulsioni materialistiche e di ambizioni di primato, per essere poi sconfitto immediatamente al passaggio di un cavaliere senza identità.
Sin dalla quadripartizione iniziale (le donne/i cavalieri/le arme/gli amori) la trama si sviluppa evocando un tempo mitico rimpianto dall'autore sul cui sfondo si proietta la guerra tra pagani e cristiani. Quadripartizione che è anche denuncia di appartenenza ad un sistema di letteratura, e fusione dei cicli epici ("le arme") medievali e della dimensione amorosa dei romanzi, in questo fedele ripresa del materiale boiardesco.
La materia cavalleresca, i luoghi e i personaggi principali sono gli stessi, ma l'elaborazione di tutti gli elementi risponde a una ricerca letteraria molto più profonda. I personaggi acquistano una dimensione psicologica potente, il racconto diviene un insieme organico di vicende intrecciate in un'architettura di grandiosa complessità, un continuo tentativo di abbracciare l'infinità motevole dei percorsi dei personaggi.
Il Furioso si presenta così come opera simbolo di un sistema, quello cortigiano e rinascimentale, proprio al momento della sua crisi: lo sguardo all'indietro e il tono nostalgico dell'incipit rivela (parallelamente al Cortegiano di Castiglione) già un rimpianto per una civiltà al tramonto, devastata dalle incursioni straniere e corrotta dalla sete di denaro e dall'avidità.
Pienamente inserita nel dibattito culturale dell'epoca, l'opera ariostesca acquisisce ufficialmente lo scettro del primo poema in una lingua che può considerarsi "italiana", proprio a seguito della revisione del Bembo, che nel 1525 - non a caso tra le due ultime edizioni del Furioso - aveva prodotto le Prose della volgar lingua.
A cui si aggiunge la dimensione di un'opera letteraria pensata e curata per la pubblicazione a stampa, volta quindi alla diffusione verso un pubblico più vasto: in questo senso, e in molti altri ancora, si può parlare della prima grande opera di letteratura moderna nella cultura occidentale.
Nella sua redazione definitiva l'opera è costituita da 4.842 ottave per un totale di 38.736 versi.
Ariosto iniziò la prima stesura dell'opera tra il 1504 e il 1507. I primi riferimenti sicuri circa un lavoro dell'autore attorno all'opera sono del 3 febbraio 1507; le notizie si infittiscono negli anni a seguire finché una missiva del 17 settembre 1515, indirizzata dal cardinale Ippolito d'Este - al cui servizio si trovava Ariosto in quel momento - al marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, lascia intendere che il poema sia stato portato a termine e vi sia una prima volontà di pubblicazione. La prima edizione dell'Orlando Furioso, contenente quaranta canti (e non quarantasei, come nell'edizione definitiva), apparve a Ferrara il 22 aprile 1516, per l'editore Giovanni Mazocco: recava una dedica al cardinale Ippolito, il quale, poco interessato alla letteratura, non mostrò alcun apprezzamento (Proprio alludendo all'ingratitudine del cardinale il poeta concluse l'opera con il motto Pro bono malum, “Male in cambio di bene”). Il successo complessivo fu invece già molto significativo, e non mancarono ammiratori illustri quali Niccolò Machiavelli, che parlò di poema «bello tucto, et in di molti luoghi [...] mirabile».
La seconda edizione fu pubblicata ancora a Ferrara il 13 febbraio 1521 per i tipi dell'editore milanese Giovanni Battista da la Pigna. La necessità di questa prima revisione nasce dal fatto che l'edizione del 1516 aveva molte imperfezioni secondo il parere dello stesso autore: questi, infatti, si impegnò subito in una lunga revisione, soprattutto per quanto riguardava le scelte linguistiche, prima orientate fortemente verso un plurilinguismo basato su una ricca fusione di termini toscani, padani e latineggianti, sostituiti con questa revisione da una parziale toscanizzazione del linguaggio. Infine, bisogna ricordare che questa prima edizione era stata pensata quasi esclusivamente per divertire la corte e per celebrare la famiglia estense. Non ci sono tuttavia altre modifiche di rilievo, nonostante fra il 1518 e il 1519 Ariosto avesse ideato cinque nuovi canti, che per volontà dell'autore, probabilmente per la loro eccessiva dissonanza con il resto del poema, non vennero mai inseriti nell'opera.
Queste due edizioni erano però ancora molto diverse da quella finale. Nel frattempo Ariosto si rese conto che l'opera aveva riscosso un grande successo: prima della terza edizione aveva già avuto, a seguito della grande richiesta, ben 17 ristampe.
Una terza edizione fu pubblicata, sempre a Ferrara, il 1º ottobre 1532 presso Francesco Rosso da Valenza. Ariosto aveva rielaborato il testo in maniera più ampia. La differenza è subito evidente sul piano linguistico: le prime due edizioni rimanevano comunque rivolte prevalentemente a un pubblico ferrarese o padano, scritte in una lingua che teneva comunque conto delle espressività popolari soprattutto lombarde e toscane. La seconda revisione invece mira a ricreare un modello linguistico italiano e nazionale secondo i canoni teorizzati da Pietro Bembo (che nelle sue Prose della volgar lingua, pubblicate dal Bembo 4 anni dopo la seconda edizione del Furioso, riformula il suo ideale di petrarchismo).
Inoltre viene modificata la struttura e vengono inseriti nuovi canti (i canti IX-XI, XXXII-XXXIII, XXXVII, XLIV-XLVI) e gruppi di ottave distribuiti in parti diverse dell'opera. Le dimensioni cambiano, il poema viene quindi portato a 46 canti, modificandone la suddivisione e l'architettura. Vengono aggiunti diversi episodi e scene, che risultano tra quelli di maggiore intensità (anticipando in un certo grado anche la futura teatralità shakespeariana). Infine compaiono i molti riferimenti alla storia contemporanea, con numerosi richiami alla grave crisi politica italiana del Cinquecento.
Nella complessa trama di questo poema epico-cavalleresco si possono identificare tre nuclei narrativi: la guerra tra Cristiani e Saraceni; la pazzia di Orlando dopo la scoperta dell'amore tra l'amata Angelica e Medoro; la storia genealogico-encomiastica di Ruggiero e Bradamante, capostipiti della casata degli Estensi che così viene celebrata.
Prima della battaglia tra i Mori, che assediano Parigi, e i cristiani, Carlo Magno affida Angelica al vecchio Namo di Baviera, per evitare la contesa tra Orlando e Rinaldo che ne sono entrambi innamorati, e la promette a chi si dimostrerà più valoroso in battaglia.
I cristiani sono messi in rotta e Angelica ne approfitta per fuggire ancora e incontra un vecchio eremita. Durante il viaggio, il perfido Pinabello scopre che Bradamante appartiene alla casata dei Chiaramontesi, nemica di quelli di Maganza, a cui egli appartiene: allora a tradimento getta la fanciulla in una profonda caverna. Qui però Bradamante è salvata dalla maga Melissa, che la guida alla tomba di Merlino, dove la guerriera viene a conoscere tutta la sua illustre discendenza, la casata estense. Melissa informa Bradamante che, per poter liberare Ruggiero, dovrà impadronirsi dell'anello magico di Angelica, che il re Agramante ha affidato al truffaldino Brunello; l'anello infatti ha un doppio potere: portandolo al dito rende immuni dagli incantesimi, tenendolo in bocca rende invisibili.
Orlando, in seguito a un sogno, parte da Parigi alla ricerca di Angelica, seguito dal fedele amico Brandimarte. A sua volta la sposa di questo, dopo un mese, parte alla sua ricerca. Orlando salva Olimpia dagli intrighi di Cimosco, re della Frisia, e libera il suo promesso sposo, Bireno. Il giovane però si innamora della figlia di Cimosco, sua prigioniera, e abbandona Olimpia su una spiaggia deserta.
Intanto Ruggiero, che ha appreso da Logistilla a mettere le redini all'ippogrifo, giunge in Occidente, salva Angelica dall'orca ed è affascinato dalla sua bellezza; ma la fanciulla, che è tornata in possesso del suo anello fatato, si dilegua.
Orlando giunge anch'egli all'isola di Ebuda e salva Olimpia da una sorte analoga a quella di Angelica. Proseguendo nella ricerca della donna amata, resta prigioniero in un palazzo fatato di Atlante, insieme a Ruggiero, Gradasso, Ferraù, Bradamante. Vi giunge anche Angelica, che libera Sacripante per farsi da lui scortare, ma per errore anche Orlando e Ferraù la inseguono.
Mentre questi combattono, Angelica si dilegua portando via l'elmo di Orlando. Il paladino libera la pagana Isabella, che, innamorata del cristiano Zerbino, è stata rapita dai briganti mentre cercava di raggiungerlo. Nel palazzo fatato di Atlante cade prigioniera anche Bradamante, sempre alla ricerca di Ruggiero. Intanto i Mori scatenano l'assalto a Parigi, e il re saraceno Rodomonte riesce a penetrare nella città, compiendo imprese straordinarie.
In soccorso a Parigi è giunto Rinaldo con le truppe inglesi e scozzesi, e con l'aiuto dell'arcangelo Michele. Il paladino uccide il re Dardinello; nella notte due giovani guerrieri saraceni, Cloridano e Medoro, cercano il cadavere del loro signore sul campo di battaglia e alfine lo trovano, ma vengono sorpresi dai cristiani; Cloridano rimane ucciso e Medoro è abbandonato gravemente ferito sul terreno, per poi essere trovato e salvato da Angelica, che si innamora di lui, anche se è un umile fante; i due si uniscono in matrimonio e partono per raggiungere il Catai.
Orlando intanto ricongiunge Isabella a Zerbino e insegue il re tartaro Mandricardo. Per caso capita sul luogo degli amori di Angelica e Medoro e vede incisi i loro nomi ovunque. Dal pastore che li aveva ospitati apprende la loro storia d'amore, e per il dolore diviene pazzo. Trasformatosi in una sorta di essere bestiale, compie folli imprese distruttive. Per difendere le armi che Orlando ha disperso, Zerbino si batte con Mandricardo e viene ucciso. A Parigi i cristiani sono di nuovo sconfitti in battaglia. Ma l'arcangelo Michele scatena la discordia nel campo pagano e i vari guerrieri entrano in contesa fra di loro.
Rodomonte apprende che la sua promessa sposa, Doralice, gli ha preferito Mandricardo e, quasi folle, lascia il campo saraceno, proclamando il suo disprezzo per tutte le donne. Invece, incontrata Isabella, si innamora di lei. La fanciulla, per serbarsi fedele alla memoria di Zerbino e per sottrarsi alla violenza del pagano, si fa uccidere da lui con un inganno.
Rodomonte si imbatte in Orlando folle, e i due ingaggiano una lotta. Poi Orlando, sempre fuori di sé, passa a nuoto fino in Africa. I Saraceni sono di nuovo sconfitti, e devono ripiegare nel Sud della Francia, ad Arles. Astolfo, venuto in possesso dell'ippogrifo, vaga per varie regioni, giunge in Etiopia, dove libera il re Senapo dalla persecuzione delle Arpie, discende nell'Inferno, sale al paradiso terrestre, poi sulla Luna dove recupera il senno perduto da Orlando. Bradamante cade in preda ad una folle gelosia, perché crede che Ruggiero ami Marfisa. Tra le due donne inizia un violento duello che provoca un nuovo scontro tra cristiani e pagani. Bradamante prima sbaraglia due mori, poi Ferraù, che la riconosce e rivela la sua identità a Ruggiero. Questi la convince ad appartarsi presso un sepolcro eretto in mezzo ad un bosco dove poter discutere. Vi arriva quindi anche Marfisa e il combattimento riprende, coinvolgendo il cavaliere saraceno. Ad interrompere il triplo duello interviene l'anima del mago Atlante (il sepolcro è la sua tomba) che svela a Ruggiero e Marfisa di essere fratelli gemelli. Venuta a sapere che il loro padre era stato ucciso dal padre del re d'Africa Agramante, Marfisa si dichiara cristiana e invita il fratello a fare altrettanto, strappando però solo una promessa. Nel frattempo udito il pianto di una donna, i tre guerrieri intervengono per punire il malvagio Marganorre, il quale aveva in odio tutte le donne. Ruggiero torna infine ad Arles e le due donne si recano all'accampamento cristiano, dove Marfisa viene battezzata e si mette al servizio di re Carlo.
Astolfo torna nuovamente in Etiopia e guida l'esercito etiope per l'intera Africa facendo guerra ai pagani rimasti in patria. In breve i Saraceni sono costretti a rifugiarsi nella città di Biserta.
Venuto a conoscenza delle vittorie dei cristiani, re Agramante cerca di concludere al più presto alla guerra in Europa, attraverso un unico duello tra Ruggiero e Rinaldo. I due cavalieri giurano di passare all'esercito avversario se qualcuno appartenente al proprio esercito fosse intervenuto nel combattimento. Durante il loro duello Melissa assume le sembianze di Rodomonte e convince re Agramante ad intervenire rompendo i patti. La feroce battaglia che ne scaturisce si conclude con la fuga dell'esercito saraceno che si imbarca e abbandona l'Europa. Prima di raggiungere l'Africa, la flotta viene abbordata dalle navi cristiane comandate da Dudone. Solo re Agramante e re Sobrino si salvano su di una scialuppa.
Nel frattempo in Africa i cavalieri cristiani fatti prigionieri da Rodomonte vengono liberati. Tra di essi ci sono Oliviero, Sansonetto e Brandimarte che può così riabbracciare Fiordiligi. Durante i festeggiamenti per la liberazione, arriva Orlando e semina il panico nell'accampamento. Una volta immobilizzato, Astolfo può restituirgli il senno.
L'imbarcazione che conduce in salvo re Agramante e re Sobrino è costretta a fermarsi sull'isola di Lipadusa (Lampedusa), dove ritrovano re Gradasso.
Intanto Ruggiero, in viaggio verso la Francia, scopre che è stato Agramante a interrompere il suo duello con Rinaldo, ma non mantiene il giuramento fatto e si imbarca per raggiungere in Africa il re pagano. Durante la navigazione si trova di fronte ad una tempesta e il cavaliere abbandona le sue armi sull'imbarcazione, riuscendo a salvarsi su di uno scoglio. Nell'isola incontra un eremita che gli insegna le basi della religione e lo battezza.
La nave abbandonata da Ruggiero giunge a Biserta ed Orlando, Brandimarte ed Oliviero si dividono le armi del cavaliere. I tre raggiungono quindi Lampedusa dove si scontrano con i tre re saraceni. Re Gradasso uccide Brandimarte e Oliviero viene gravemente ferito, ma Orlando uccide subito dopo re Agramante e re Gradasso. Re Sobrino gravemente ferito viene invece graziato. In Francia, Rinaldo è ancora tormentato dall'amore per Angelica e decide di raggiungere la donna mettendosi in viaggio verso Oriente. Grazie alla magia di Malagigi, Rinaldo, arrivato nelle Ardenne, beve alla fonte del disamore e, riacquistato il suo senno, si congiunge con gli altri paladini a Lampedusa. Durante il viaggio di ritorno in Francia, i paladini si fermano presso lo scoglio dell'eremita dove incontrano Ruggiero. Saputo della conversione dell'uomo, Rinaldo gli promette in sposa la sorella Bradamante.
Una volta giunti a Parigi, Ruggiero viene a sapere che Amone, padre di Bradamante, ha già promesso a Costantino, imperatore dell'Impero Romano d'Oriente, di dare in sposa la figlia al suo successore Leone. Il cavaliere parte allora per la Bulgaria con l'intenzione di uccidere il suo rivale, ma viene fatto prigioniero. Bradamante convince Carlo Magno a indire un torneo: lei si darà in sposa solo a chi saprà resisterle dall'alba al tramonto. Crede di combattere contro Leone, in realtà si tratta di Ruggiero, nel frattempo liberato dal figlio dell'imperatore, che vince a favore del rivale. Ma quando Leone scopre la verità, diventa grande amico di Ruggiero e accetta di rinunciare a Bradamante.
Il matrimonio tra Ruggiero e Bradamante viene finalmente celebrato, ma dopo nove giorni di banchetto arriva Rodomonte, accusa il novello sposo di infedeltà verso re Agramante e lo sfida a duello. Il combattimento si trasforma quasi subito in una lotta corpo a corpo, finché Ruggiero uccide, con tre pugnalate nella fronte, Rodomonte.
Il poema si presenta esplicitamente come una "gionta", ossia come una continuazione dell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, da cui però si discosterà in maniera evidente già a partire dai presupposti ideologici, storici e culturali. L'atteggiamento del conte Boiardo e di Ariosto rispetto al mondo della cavalleria è profondamente divergente: l'Innamorato era rappresentazione di un insieme di valori prettamente umanistici, di un'energica pulsione di un uomo che si era appena posto al centro dell'universo e che aveva quindi la possibilità di comandare tutte le forze del mondo. Il poema boiardesco non ha l'aspirazione alla completezza dell'Ariosto, il maturo riconoscimento del limite di una relatività; piuttosto una forte spinta propositiva sui nuovi valori umanistici della cortesia, inseriti nel mondo cavalleresco. Il duello di Orlando e Agramante tra il XVIII/XIX canto, ad esempio, diventa il fulcro di una discussione sostanziale su un nuovo modello etico. All'attualizzazione, cioè all'inserimento del sistema etico umanistico all'interno del mondo cavalleresco, si sovrappone anche il rimpianto per i tempi andati: la brusca interruzione del poema, con l'invasione dei "barbari" francesi nel 1494, è in questo senso uno spartiacque deciso, un evento tragico la cui valenza simbolica non può non incidere sul destino dell'Italia, della sua letteratura e - in particolare - sullo svolgimento del poema interrotto.
L'Orlando furioso raccoglie questa eredità trasformando il mondo cavalleresco/cortese di Boiardo in un più ambizioso progetto di descrizione della complessità umana. L'immagine del cavaliere diventa più astratta, più lontana dal reale, e dalla consapevolezza di questo distacco nasce il meccanismo dell'ironia, come una forza che discute il fondamento stesso della realtà (a questo proposito si veda il discorso sui poeti menzogneri contenuto nel XXXV canto, vera e propria dichiarazione di poetica che si realizza nel discorso di S. Giovanni ad Astolfo).
L'operazione di discussione sulla e della realtà, che ha degli evidenti presupposti umanistici (si pensi ad esempio alla filologia di Lorenzo Valla, operazione tutta vòlta ad una ricostruzione scientifica che sfida il principio di autorità), porta al definitivo svuotamento dell'originario scontro tra pagani e cristiani: la guerra, uno dei pochi fili rossi che è possibile tracciare con facilità all'interno del poema, non racchiude un'opposizione etica/ideologica tra due schieramenti come nella Chanson de Roland. Sulla dimensione epica comunque presente, se non altro come polarità dialettica (e basti considerare la prima ottava del poema), s'instaurano le infinite vie del romanzo, delle quali la tecnica dell'intreccio è immagine stilistica: al filone principale delle armi si mischiano gli amori, secondo un'operazione già boiardesca. All'eroe epico destinato alla vittoria proprio in quanto difensore di un'ideologica superiorità rispetto al nemico si sostituisce il cavaliere innamorato del Boiardo, ma solo ad un primo superficiale livello. Ariosto non può accontentarsi di arrivare a questo punto, e infatti spinge il proprio punto di vista letterario a complicare il meccanismo dell'innamoramento fino al paradosso: da una parte portando Orlando alla pazzia, alla condizione animalesca, a spogliarsi delle sue prerogative di cavaliere; dall'altra riprendendo e assolutizzando l'idea portante del romanzo medievale, il cavaliere alla ricerca della propria identità, da ritrovare dopo una "prova".
I personaggi del Furioso sono sempre alla ricerca (quête) di qualcosa: la donna amata, l'avversario da battere, il cavallo perduto, l'oggetto rubato; e in questa perenne ricerca, di volta in volta favorita o frustrata dal caso o dalla magia, si vede agire l'uomo del Rinascimento proteso alla realizzazione delle proprie capacità. Alla possibilità di completamento e di soddisfazione del desiderio, tuttavia, si sostituisce la consapevolezza di un'impossibilità: ogni ricerca rimane sospesa, frustrata, ogni via nuova impedita, ogni sentiero interrotto. Angelica è figura emblematica di questo meccanismo, di un continuo movimento vano che ha il suo contraltare nell'errare del poeta insieme ai personaggi, nella fatica dell'Ariosto quando si tratta di raccogliere e chiudere in un'unità la molteplicità. Come fa notare Marco Santoro:
«C’è di più: alla fuga è connessa la condizione di “straniamento” di cui la donna acquista progressivamente coscienza (…) dal mondo e dalla storia. La fuga riflette emblematicamente lo scatto incolmabile tra la realtà sottesa alla mitografia del Furioso e la realtà del mondo cavalleresco restaurata e filtrata attraverso l’ottica Boiardesca dell’ultimo Quattrocento. Fra Boiardo e Ariosto c’è il 1494: c’è la crescente cognizione nella coscienza dei contemporanei di una realtà segnata da irrazionalità e da violenza di fronte agli incalzanti e sconvolgenti eventi della realtà politica e sociale. Interessante anche notare come questo movimento, contraltare della crisi ideologica della cortesia, sia necessità stringente per la realizzazione del poema.»
Angelica è dunque l'immagine emblematica di un meccanismo che è alla base di tutte le forze che regolano il Furioso: tutti i personaggi sono alla ricerca di qualcosa. La dinamica dell'inchiesta cavalleresca ereditata dal romanzo medievale, incentrata sul cavaliere alla ricerca dell'occasione per misurare la propria identità ("prova") in vista anche della successiva realizzazione dell'amore, si trasforma ironicamente in un vorticoso cammino senza soluzione, nella follia dell'eroe principale, in un intreccio senza fine di storie che raccontano il vuoto e l'incompiutezza della figura del cavaliere. La narrazione dell'impresa dell'eroe diventa quindi riflessione sui valori di una civiltà in crisi, piacere della narrazione infinita, astrazione e idealizzazione della società rappresentata. Le innovazioni stilistiche, il meccanismo dell'intreccio (entrelacement) che prevede il parallelo snodarsi di vicende tutte diverse e parallele, la concezione dello spazio e del tempo risentono tutti di questo processo di distanziamento di cui è simbolo la figura dell'autore sempre al di fuori rispetto alla narrazione, seppur in molti casi posta in collegamento con le profonde tematiche del poema (si pensi solamente all'innamoramento/follia di Orlando e all'immediato richiamo alla condizione del poeta).
Il mondo dell'Orlando Furioso è un mondo dominato da forze incontrollate che sfuggono al controllo della ragione, e di cui la follia dell'eroe principale è segnatamente emblema; il ruolo della magia, oltre che un brillante meccanismo narrativo e un richiamo alla tradizione romanza, si carica in Ariosto di un connotato più amaro, proprio perché - come del resto la celebre ironia ariostesca - si sviluppa sulla consapevolezza di un limite ideologico, storico, e addirittura politico. La crisi del mondo ferrarese e dell'universo rinascimentale italiano, che porterà con sé anche la progressiva scomparsa dell'egemonia italiana come grande riferimento culturale dell'Occidente, condiziona l'atteggiamento ideologico del poeta e la struttura dell'opera. Alla vanità della ricerca dei personaggi, infatti, corrispondono l'ambiguità di Ariosto all'interno del testo, che ricopre posizioni spesso apparentemente contraddittorie, e anche la continua perfettibilità del poema, sia dal punto di vista linguistico (la revisione sotto il magistero bembiano), sia dal punto di vista strutturale (le tre edizioni e la produzione dei Cinque canti).
Anche all'interno della concezione dello spazio, che vede l'alternanza tra il presunto centro narrativo della guerra cristiana contro i pagani e le varie peregrinazioni dei personaggi, alcuni luoghi del testo assumono strutturalmente i connotati di emblema di tutto il poema. Così è il castello di Atlante del XII canto (che si ritroverà anche, in altra ma simile modalità, più avanti), luogo principe della ricerca vana, dove tutti i personaggi rincorrono l'oggetto della propria ricerca: l'inseguimento vano del loro desiderio insoddisfatto.
La stesura travagliata del poema, che ha visto come si diceva tre edizioni, ha anche portato progressivamente con sé un diverso approccio al testo da parte dell'autore; alle modifiche strutturali corrisponde anche una diversa concezione del mondo, più pessimista e matura, che si ritrova negli episodi aggiunti. In tutto questo complesso sistema, macchina narrativa inesauribile, s'innesta anche il tema amoroso, principale parallelo tra l'autore e i personaggi, e anche causa principale della follia che aleggia sul poema. Inoltre, il tema amoroso viene presentato in tutte le sue sfaccettature, secondo un principio di corrispondenza di opposizioni mai completamente risolte che è comune a molte altre sfere semantiche del Furioso: gli amori tra Zerbino e Isabella, Olimpia e Oberto, Brandimarte e Fiordiligi, Orlando/Rinaldo e Angelica, Bradamante e Ruggiero sono tutti diversi. Insieme alla discussione sull'amore e sulle sue diverse manifestazioni, si ripresentano motivi cari alla tradizione epica classica e medievale, come l'amicizia salda fino alla morte (Orlando e Brandimarte; Cloridano e Medoro), l'opposizione tragica tra eroe fatato e invulnerabile e cavaliere puramente mortale, la dimensione eroica del combattente senza paura (Rodomonte). A differenza dell'Orlando Innamorato, nel poema ariostesco ogni personaggio è portatore di un desiderio: che lo lega al proprio destino, lo imprigiona e, di fatto, gli toglie il senno. È il desiderio a muovere ogni cosa: per una donna, per un uomo, ma anche per una spada, un cavallo o le armi di Ettore di Troia contese fra i paladini.
Vero e proprio altro mondo, luogo specchio del regno terrestre, è l'emisfero lunare raggiunto da Astolfo, dove si trova il senno di Orlando insieme a tutte le altre cose che gli uomini smarriscono: fama, gloria terrene, voti e preghiere, amori, vani desideri e vani progetti. La civiltà rinascimentale, è stato notato, ha raggiunto un pieno equilibrio spirituale e sorride con saggezza e agli abbandoni dell'animo umano e alle sue debolezze. Tuttavia, meccanismo che è alla base di operazioni letterarie diversissime come quelle di Machiavelli e Guicciardini, la trama "labirintica" diventa denuncia di un mondo dominato dalla presenza costante dell'imponderabile Fortuna (il "caso"), figura della "crisi della concezione rinascimentale di una realtà naturalmente armoniosa e dominabile dall'intelligenza e dall'azione umana". Il Furioso, interpretato come poema dell'armonia sin dalla celebre affermazione crociana, mostra al suo interno anche una forza corrosiva sulla capacità dell'uomo di essere artefice del proprio destino: la discussione sul rapporto con la Fortuna, simbolo dell'imprevedibile, vero e proprio topos del Rinascimento, fa breccia anche nei potenzialmente infiniti fili narrativi del libro che di quella civiltà è stato sintesi e capolavoro.
Nel poema le vicende, l'ambiente, i personaggi appartengono al mondo della fantasia. Il contatto con la realtà degli uomini, dei sentimenti, della società rinascimentale avviene attraverso un uso sapiente dell'ironia. Essa, da semplice figura retorica che comunica il contrario di ciò che superficialmente dice, diventa strumento per la scoperta della contraddittorietà del reale e dei limiti dell'uomo. Già nelle ottave del Proemio emerge in due modi, come autoironia (il poeta si dichiara pazzo per amore come Orlando, e capace solo di offrire al suo signore una povera «opera d'inchiostro») e come velata critica al cardinale Ippolito d'Este, presentato come mente elevata occupata in «alti pensieri».
All'avviarsi della narrazione, sono subito riconoscibili (canto primo) esempi di "ironia delle cose" o ironia oggettiva; il più evidente è forse dato dall'inaspettata sconfitta del prode guerriero Sacripante per opera dell'«alto valor/ d'una gentil donzella» (Bradamante). Ma, nello stesso canto, si riconosce un altro uso assai importante dell'ironia: Angelica, per farsi aiutare da Sacripante, dichiara di aver conservato intatta la propria verginità. E subito interviene l'Ariosto a commentare: «Forse era ver, ma non però credibile / a chi del senso suo fosse signore [...]». In questo modo, il poeta induce il lettore a prendere le distanze e a collocarsi criticamente rispetto a ciò che i personaggi dicono o fanno. Una terza forma d'ironia si può identificare nei vari modi in cui i personaggi, paladini, principesse, e così via, si ritrovano in situazioni tutt'altro che eroiche o nobili, anzi decisamente "basse" o comiche: il culmine è raggiunto dalle azioni bestiali e grottesche di Orlando impazzito, trasformato in una furia cieca, al punto che, incontrandola per caso, non riesce a riconoscere Angelica (che tanto aveva desiderato di ritrovare).
Il senno di Orlando finisce sulla luna con tutte le altre cose che gli uomini smarriscono: fama e gloria terrene, voti e preghiere, sospiri d'amore, vani disegni e vani desideri. Tutto ciò che sulla terra più affascina ed impegna rivela lassù la propria inutilità, in quanto li ha resi vani l'essersi affidati solo ad essi, l'essersi concentrati solo sulla loro realizzazione, dimenticando che la vita ha e vuole altro.
Il poema, che manifesta la concezione rinascimentale della vita, presenta quindi una quête con una struttura circolare e un carattere illusorio; lo spazio con una dimensione terrestre e orizzontale; il tempo con una dimensione cronologica non lineare; l'opposizione tra virtù e caso rappresentata con una visione laica e pessimista.
Prima grande opera della letteratura moderna a essere pensata per la stampa, l'Orlando Furioso ebbe immediatamente un grande successo attestato dalle 36 ristampe avvenute in meno di un decennio dopo la pubblicazione della versione definitiva nel 1532, e fu tradotta nello stesso Cinquecento e nei secoli successivi in numerose lingue.
Per diversi secoli l'Orlando Furioso fu letto come opera prevalentemente di evasione. Dobbiamo a Hegel, nell'Ottocento, l'interpretazione del Furioso in chiave di critica dei valori della cavalleria, come opera perciò che segna l'analisi e la consapevolezza della fine di un'epoca storica, il Medioevo, con tutto ciò che esso significava. Nel secolo scorso il filosofo e critico Benedetto Croce ne ha dato una lettura nuova, rifiutando anche lui l'idea di un poema d'evasione e sottolineando la sua funzione di grande affresco di un'epoca, vista nei suoi aspetti positivi e negativi.
L'ultimo grande omaggio all'Orlando Furioso lo si deve a Italo Calvino, che non solo ne curò una versione da lui in parte sintetizzata, ma che ai temi e alle vicende degli eroi di Ariosto rese indirettamente omaggio nel ciclo di romanzi I nostri antenati.
Pio Rajna ha pubblicato un volume, Le fonti dell'Orlando Furioso, che studia la discendenza dell'opera dai molti poemi cavallereschi del tempo.