Le Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua (note come le Prose della volgar lingua) sono un trattato di Pietro Bembo, titolo completo Prose di Messer Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua scritte al Cardinale de Medici che poi è stato creato a Sommo Pontefice et detto Papa Clemente Settimo divise in tre libri. Pubblicate nel 1525, le Prose costituiscono un momento fondamentale nella Questione della lingua. L'idea di base espressa nell'opera è che, per la scrittura di opere letterarie, gli italiani debbano prendere come modello due grandi autori trecenteschi: Francesco Petrarca per la poesia e Giovanni Boccaccio per la prosa. A livello storico il trattato può essere considerato come uno dei primi tentativi di storia letteraria italiana. L'opera si fonda sulla cancellazione della tradizione più recente: pur conoscendo a fondo la letteratura del suo tempo, Bembo non riprende nessun esempio di questa origine, anche se menziona alcuni poeti quattrocenteschi: in particolare Lorenzo de' Medici, padre del suo interlocutore Giuliano de' Medici duca di Nemours, e i veneziani Niccolò Cosmico e Leonardo Giustinian (I, 15; questi ultimi soprattutto per rilevare l'inferiorità della tradizione veneta rispetto a quella toscana). È un trattato in forma dialogica, sul modello classico di Platone. È dedicato a Giulio dei Medici prima che fosse eletto papa con il nome di Clemente VII (1523). L'opera è composta da tre libri, in cui quattro personaggi storici (Carlo Bembo, fratello di Pietro, Ercole Strozzi, umanista di Ferrara, Giuliano de' Medici duca di Nemours e Federigo Fregoso, futuro cardinale) discutono sulla lingua volgare.
I libro. A casa di Bembo incomincia la discussione sulla lingua da adottare: il latino è preferibile al volgare? Qual è il volgare da prediligere? Di fronte alle affermazioni di umanisti come Ercole Strozzi, che sviliscono il ruolo del volgare, gli altri personaggi ne difendono invece il valore. Il libro presenta quindi una storia del volgare e, affrontando il problema di quale volgare italiano usare per la scrittura, propone i due modelli fondamentali di Bembo: per la prosa il volgare della Cornice del Decameron boccacciano, (il linguaggio delle novelle è ritenuto troppo basso e colloquiale), per la poesia la lingua di Petrarca. Nel libro è trattato anche il rapporto tra l'italiano e il provenzale, a livello sia linguistico che letterario.
II libro. La trattazione affronta prevalentemente questioni metriche e di retorica del volgare, sempre nell'intento di dimostrare l'eccellenza di Petrarca e Boccaccio. Vengono evidenziate le qualità che rendono bella la scrittura, ovvero la piacevolezza e la gravità.
III libro. In questo libro - che da solo occupa metà dell'opera - Bembo presenta una sua grammatica del volgare, ovvero la descrizione morfologica del toscano trecentesco sulla base del principio di imitazione dei "classici". La trattazione non è sistematica, e il libro è stato definito come “una meravigliosa selva dove l'esemplificazione della parola e del suo uso prevale sulla classificazione e sulle regole” (Carlo Dionisotti). A rendere più difficile la lettura è anche l'abbondanza di esempi e il mancato utilizzo dei termini tecnici codificati dalla tradizione grammaticale latina. Bembo preferisce infatti ricorrere a perifrasi anche per le definizioni di base (per cui il “singolare” e il “plurale” diventano rispettivamente il “numero del meno” e il “numero del più”, il presente è il “tempo che corre mentre l'uom parla”, e così via).
Bembo accenna al proprio desiderio di scrivere osservazioni sulla lingua volgare in una lettera a Maria Savorgnan risalente al 2 settembre 1500. Altre lettere di Bembo scritte nel 1512-1513 (anche se forse rielaborate in seguito) fanno pensare che in questo periodo fossero già stati scritti i primi due libri dell'opera e che almeno la loro struttura fosse già simile a quella definitiva. Per i contenuti, anche se la grande maggioranza delle osservazioni è originale, in alcuni casi Bembo probabilmente riprese senza dichiararlo alcune indicazioni grammaticali già fornite nelle Regole pubblicate nel 1516 da Giovanni Francesco Fortunio. Il trattato fu completato tra il 1519 ed il 1524.